Le condizioni di salute del boss Matteo Messina Denaro si sono aggravate. L’ex latitante, affetto da un tumore al colon e detenuto a L’Aquila in regime di 41 bis, è stato ora ricoverato nel reparto di chirurgia dell’ospedale San Salvatore. Il tutto naturalmente dietro imponenti misure di sicurezza.
Intanto vengono rese note le parole che il capomafia disse dopo l’arresto dal procuratore di Palermo Maurizio De Lucia e dall’aggiunto Paolo Guido. Il verbale dell’interrogatorio è stato infatti depositato oggi. “Io non mi farò mai pentito”, aveva dichiarato senza esitazione. “Non voglio fare il superuomo e nemmeno l’arrogante, voi mi avete preso per la mia malattia”.
Nel corso dell’interrogatorio il boss ha negato di aver commesso stragi e omicidi e di aver trafficato in droga, ma ha ammesso di aver avuto una corrispondenza con il capomafia Bernardo Provenzano. Messina Denaro ha raccontato anche di aver vissuto, fin quando ha potuto, rinunciando alla tecnologia, sapendo che sarebbe stato un punto debole. Ma poi ha dovuto cedere.
Ai magistrati, per spiegare il cambio di passo sulla gestione della latitanza il 13 febbraio scorso ha citato il proverbio ebraico: “Se vuoi nascondere un albero, piantalo in una foresta”. “Ora che ho la malattia e non posso stare più fuori e debbo ritornare qua…”, si è detto dopo aver scoperto di avere il tumore. “Allora – ha raccontato – mi metto a fare una vita da albero piantato in mezzo alla foresta, allora se voi dovete arrestare tutte le persone che hanno avuto a che fare con me a Campobello, penso che dovete arrestare da due a tremila persone: di questo si tratta“.
Il capomafia ha precisato che in paese in pochi conoscevano la sua vera identità: “A Campobello mi sono creato un’altra identità: Francesco“. “Giocavo a poker, mangiavo al ristorante, andavo a giocare”, ha spiegato. Una vita normale per passare inosservato.
“Io mi sento uomo d’onore ma non come mafioso. Cosa nostra la conosco dai giornali”, ha aggiunto Messina Denaro. “La mia vita non è stata sedentaria, è stata una vita molto avventurosa, movimentata”, ha proseguito ammettendo la latitanza e di aver comprato una pistola, ma di non averla mai usata e di non aver fatto omicidi e stragi.
“Una cosa fatemela dire. Forse è la cosa a cui tengo di più. Io non sono un santo… ma con l’omicidio del bambino non c’entro”. Con queste parole si è discolpato dell’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, rapito e sciolto nell’acido.