Matteo Messina Denaro usava i pizzini per comunicare nei giorni della sua lunga latitanza. Decine di messaggi sono così venuti alla luce dopo il suo arresto; tra l’altro, pare che sia stato proprio un appunto scritto dalla sorella Rosalia, arrestata nella giornata di ieri, a fornire ai carabinieri le utili informazioni che hanno poi portato alla cattura del boss.
All’interno della gamba cava di una sedia in casa della donna i militari hanno, infatti, rivenuto il prezioso foglietto. La scoperta è avvenuta mentre stavano piazzando delle cimici all’interno dell’abitazione. Si trattava di un vero e proprio diario clinico di un malato di cancro. Quelle informazioni dettagliate sulla patologia e sull’operazione subita dal malato (di cui non si fa nome del biglietto) hanno portato, attraverso accertamenti effettuati prima al Ministero della Salute e poi su banche dati sanitarie nazionali, a identificare un maschio di età compatibile con quella del latitante. Si è giunti così ad Andrea Bonafede, la falsa identità con cui Messina Denaro aveva avuto accesso a visite e cure (LEGGI QUI).
L’inchiesta condotta dal procuratore di Palermo Maurizio de Lucia e dall’aggiunto Paolo Guido ha portato alla luce decine di pizzini arrotolati, sigillati con il nastro adesivo, spesso avvolti in piccoli pacchetti, e indirizzati a destinatari indicati con nomi in codice. La sorella Rosalia era “Fragolone”. Compaiono anche i nomi di Fragolina, Condor, Ciliegia, Reparto, Parmigiano, Malato, Complicato, Mela.
I pizzini venivano veicolati attraverso una catena, più o meno lunga, di fedelissimi, che lo stesso boss, nei suoi scritti, definiva “tramiti”. Per non lasciare traccia i biglietti venivano distrutti dopo la lettura. Tuttavia proprio il boss è stato il primo a non osservare la regola “avendo la necessità di dialogare in termini più brevi e con minori precauzioni con i suoi familiari – scrive il gip – e talvolta di conservare la posta, soprattutto quella in uscita, come promemoria delle innumerevoli faccende che gli venivano sottoposte”. Stessa cosa ha fatto la sorella Rosalia che, si legge nella misura cautelare, “ha colpevolmente evitato di distruggere alcuni dei pizzini ricevuti dal fratello o comunque, ne ha trascritto il contenuto su appunti manoscritti e occultati nella sua abitazione a Castelvetrano e nella sua casa di campagna a Contrada Strasatti di Campobello di Mazara”. Errori fonte, per i carabinieri, di “preziosissimi elementi probatori da cui potere documentare con certezza il ruolo di tramite e di fedele esecutrice degli ordini del latitante svolto dalla donna nel corso di diversi anni”.
I pizzini danno spazio a diversi aspetti dal pensiero di Matteo Messina Denaro. C’è ad esempio quello in cui parla della figlia Lorenza, definita “degenerata nell’intimo” dal capomafia, con cui la donna non ha mai voluto avere a che fare.
In un altro il boss espone la sua “filosofia” ai familiari. “Essere incriminati di mafiosità, arrivati a questo punto lo ritengo un onore – scrive -. Siamo stati perseguitati come fossimo canaglie. Trattati come se non fossimo della razza umana. Siamo diventati un’etnia da cancellare. Eppure, siamo figli di questa terra di Sicilia, stanchi di essere sopraffatti da uno Stato prima piemontese e poi romano che non riconosciamo. Siamo siciliani e tali volevamo restare”.
“Hanno costruito una grande bugia per il popolo. Noi il male, loro il bene. Hanno affossato la nostra terra con questa bugia – proseguiva -. Ogni volta che c’è un nuovo arresto si allarga l’albo degli uomini e delle donne che soffrono per questa terra. Si entra a far parte di una comunità che dimostra di non lasciare passare l’insulto, l’infamia, l’oppressione, la violenza. Questo siamo ed un giorno sono convinto che tutto ci sarà riconosciuto e la storia ci restituirà quel che ci ha tolto la vita”.