Naufragio Crotone, gli scafisti in fuga aggrediti e bloccati dai sopravvissuti
La disperazione dei sopravvissuti al naufragio, che su quella barca hanno perso un fratello, o un figlio o la mamma
Continuano senza sosta le ricerche dei dispersi del naufragio di domenica mattina a Steccato di Cutro, nel Crotonese. Il bilancio ancora parziale dell’ennesima tragedia del mare, nelle ultime ore è aumentato: al momento è di 64 morti e decine di dispersi. Intanto per questa tragedia sono già stati individuati e fermati tre scafisti, ed un terzo è indagato.
Nel verbale di fermo, come riportato dal Corriere della Sera, sono raccolti i racconti dei sopravvissuti. E vien fuori che, a naufragio avvenuto, i migranti che, che dopo la lotta con il mare grosso avevano ancora la forza di stare in piedi, hanno cercato di aggredire gli scafisti. Uno in particolare, un cinquantenne che era è riuscito a scappare e nascondersi dietro un cespuglio, poco prima che sul posto arrivassero i carabinieri.
Scafisti che si nascondono tra i migranti
Sono stati gli stessi migranti a indicarlo e fare catturare lui e e gli altri due che cercavano di mescolarsi fra i superstiti. Nel verbale le loro versioni coincidono, e raccontano tutti più o meno la stessa storia. I quattro indagati negano e giurano di non sapere niente: «Non sono uno scafista ─ dicono ─, sono un migrante in fuga come tutti gli altri». Affermano di non sapere niente della proprietà del barcone, e neppure dei soldi versati da quella povera gente per la traversata. Ognuno di essi ha pagato dai 7.500 ai 9.500 dollari.
I racconti dei sopravvissuti
Le testimonianze dei superstiti sono precise e dettagliate. «Siamo partiti il 23 da Izmir, in Turchia ─ dicono ─. Quei tizi li chiamavamo “i capitani”. Quando ci hanno detto che era arrivato il momento di partire siamo andati verso la barca, che si chiamava Summer Love. Ci hanno messo nella stiva, a ciascuno di noi hanno dato un ticket con un numero stampato e per tutto il viaggio ci hanno dato soltanto acqua. Le condizioni del mare erano pessime. Loro si alternavano al timone. Secondo i loro piani saremmo dovuti arrivare di domenica perché di domenica, dicevano, lungo le coste ci sono meno controlli. A un certo punto la barca ha avuto un problema al motore ma uno dei capitani si è dato da fare e lo ha riparato».
Su quella barca in tanti hanno perso un fratello, un figlio, una madre
Racconti di disperati, di tante speranze malriposte. Non c’è nessuno che su quella barca non abbia perso un fratello, un figlio, una madre. Tutti concordano nel dire che nell’ultimo tratto, a un passo dalla salvezza, gli scafisti hanno accelerato pensando di far prima. E questo ha fatto la differenza al momento dell schianto contro la secca. Infatti, oltre la gente finita in mare e annegata, i pezzi di legno della barca spezzatasi a quella velocità sono diventati lame di coltello che hanno colpito a caso, nel buio.
Foto frame Tg5