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Nel naufragio di Lampedusa ci furono 366 morti: condanne a chi non soccorse

Nella notte del 3 ottobre 2013 su un barcone vicino Lampedusa c’erano 518 migranti. La “carretta del mare”, caricata all’inverosimile, a distanza di qualche miglio dalla costa , dopo avere imbarcato acqua, è naufragata. Ci furono 366 morti accertati e 152 superstiti. Subito dopo è partita una inchiesta, condotta dal procuratore Luigi Patronaggio e dal pm Andrea Maggioni.

C’ERA UN PESCHERECCIO IN ZONA

Le indagini, che si sono giovate delle rilevazioni del sistema satellitare di controllo del mare, hanno rilevato che quella notte, l’unica imbarcazione presente vicino Lampedusa, nell’ora del naufragio era il peschereccio Aristeus di Mazara del Vallo, che stava pescando vicino Lampedusa. Gli imputati durante le indagini hanno respinto le accuse, sostenendo di non essersi fermati e di non avere allertato i soccorsi perché non avevano compreso che l’imbarcazione si trovava in difficoltà.

CONDANNATI DAL TRIBUNALE DI AGRIGENTO

Il giudice monocratico del tribunale di Agrigento, Alessandro Quattrocchi, non ha creduto a questa versione, ed ha condannato i sette componenti dell’equipaggio del peschereccio Aristeus. Li ha ritenenuti colpevoli di omissione di soccorso, non essendosi fermati a soccorrere l’imbarcazione stracolma all’inverosimile che stava per colare a picco. La sentenza ha previsto la pena più alta, 6 anni di reclusione, per il comandante del peschereccio, Matteo Gancitano, 67 anni. di Mazara del Vallo. Mentre i componenti dell’equipaggio, quattro dei quali sono africani, e due mazaresi, ovvero Alfonso Di Natale e Vittorio Cusumano, sono stati condannati a quattro anni ciascuno.

IL RACCONTO DEI SUPERSTITI

Alcuni superstiti interrogato dopo il disastro avevano raccontato che mentre erano in difficoltà avevano visto in lontananza due navi. «Erano due navi grandi ─ hanno detto ─ di colore chiaro e della stazza di una motovedetta o di un peschereccio d’altura. Navigavano in coppia a poche centinaia di metri da noi, verso il largo. La nostra barca era ormai a meno di un chilometro dalla riva».

«Una delle due navi ─ hanno detto continuando ─ ha cambiato direzione, facendo un largo giro completo intorno al nostro barcone stracarico e poi ha ripreso velocemente la rotta, raggiungendo l’altra che si stava allontanando. Alcuni di noi, convinti che non ci avessero avvistato, hanno pensato di segnalare la nostra presenza dando fuoco a una coperta intrisa di gasolio. C’è stata una fiammata enorme che ha innescato un principio d’incendio. A quel punto, centinaia di persone, spaventate, si sono precipitate d’istinto sul lato opposto del ponte.È così che il barcone ha perso l’assetto: si è rovesciato ed è andato a fondo».

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Pippo Maniscalco