La legge di Bilancio approvata lunedì dal Consiglio dei ministri, arriverà nei prossimi giorni in Parlamento. Il testo comunque non è definitivo e contiene alcuni articoli che sono ancora in sospeso. Naturalmente non cambiano le principali misure illustrate da Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti, ma emergono dettagli di sicuro interesse per i cittadini coinvolti. Come per i pensionati. Per il prossimo anno e per il 2024, è stato infatti rivisto il meccanismo di perequazione che serve a recuperare l’incremento del costo della vita. Una scelta che modifica all’ultimo momento la procedura ordinaria già avviata.
Nel 2023 saranno rivalutate tutte le pensioni, ma quelle al di sopra dei 2.100 euro lordi mensili avranno un adeguamento all’inflazione meno generoso e decrescente via via che aumenta il reddito. Per i trattamenti più alti la percentuale di aumento si ridurrà dal 7,3 per cento fissato dall’Istat al 2,2 per cento. Invece non cambia nulla per i trattamenti fino a quattro volte il minimo Inps, ovvero poco più di 2.100 euro lordi mensili. Per questa fascia è prevista una rivalutazione pari al 100 per cento della misura già fissata, in via provvisoria, dall’Istat, ovvero del 7,3 per cento. Inoltre, come già annunciato, gli assegni che non superano il minimo 525,38 euro mensili riceveranno un ulteriore aumento, ma solo «in via eccezionale». L’incremento sarà del 1,5 per cento nel 2023 e 2,7 per cento nel 2024. Quindi dal prossimo gennaio l’importo- soglia salirà a quasi 572 euro, circa 8 punti in più di quelli che sarebbero scattati con la rivalutazione ordinaria. Questo miglioramento però è destinato a essere riassorbito dopo due anni.
Cosa succederà invece alle pensioni di importo superiore alle quattro volte il minimo? La percentuale di rivalutazione verrà ridotta, ma soprattutto sarà in vigore per il prossimo biennio una formula meno favorevole, che applica l’incremento parziale sull’intero importo dell’assegno e non per scaglioni. Così ad esempio per gli importi tra quattro e cinque volte il minimo, quindi fino circa a 2.630 euro lordi mensili, la rivalutazione è pari all’80 per cento del 7,3 per cento, cioè del 5,84, da applicare su tutta la somma. Con la norma finora in vigore sarebbe stato invece garantito il recupero pieno sulla quota di pensione fino ai 2.100 euro e la decurtazione sarebbe scattata solo sulla parte eccedente. La “scaletta” definita dal governo prosegue: tra cinque e sei volte il minimo la rivalutazione spetta per il 55 per cento, tra sei e otto per il 50, tra otto e dieci per il 40 e oltre dieci per il 35 per cento: in quest’ultimo caso la percentuale effettiva si riduce al 2,56 per cento.
(Foto libera Markus Spiske)