Next stop Rogoredo, Micaela Palmieri racconta il mondo della droga nel boschetto milanese
Il libro racconta in modo romanzato la vita di Carlo, Regina, Luna e Silvia, assidui frequentatori del boschetto
La giornalista del Tg1 Micaela Palmieri è l’autrice del libro Next stop Rogoredo. Un racconto nato dall’inchiesta svolta sul boschetto milanese, una piazza di spaccio a pochissima distanza dai quartieri più ricchi della città. L’ultima opera della giornalista, edita da Baldini e Castoldi, racconta di una serie di storie di chi giornalmente fa uso di sostanze stupefacenti proprio in quel luogo. La prefazione è curata dal Presidente della Comunità di San Patrignano, Alessandro Rondino dal Pozzo.
Il libro è stato concepito dopo che l’autrice, in compagnia di un cameramen e ad un volontario, ha trascorso una notte all’interno del bosco della droga. La realtà in cui si è immersa è una delle più crude, colma di persone finite nel corso della loro vita nel vortice della tossicodipendenza. Ettore Zanca ha intervistato per Palermo Live la scrittrice per guidare i lettori a trovare le chiavi di lettura di questo libro.
I due capitoli iniziali hanno volutamente un che di dantesco. Questo per mettere già il lettore nell’atteggiamento giusto, si tratta di inferno in terra. Spiegaci un attimo chi è il tuo Caronte, ovvero Carlo.
Ho due Caronte nel mio viaggio all’Inferno. Uno è Carlo, il mio protagonista. Mi sono appassionata subito a lui. Un ragazzo intelligente, sveglio, umano, distrutto dalla droga ma in astinenza dall’amore non dalla sostanza. Un giovane che la vita mette in ginocchio, cui la vita non fa sconti. Lui, i giorni, li affronta consumandosi e stordendosi con l’eroina ma fa i conti da solo con i sentimenti che lui dice di non avere più, come tutti gli avventori del boschetto, ma non è così. Carlo è un ragazzo che ha solo bisogno di una possibilità, di un’alternativa. Poi c’è l’altro Caronte: Antonio, un volontario che ogni sera va dai ragazzi al bosco della droga, per parlarci, per portare loro brioche e armato di voglia di ascoltare senza giudizio,senza puntare il dito. Antonio ti fa capire che anche nella distruzione puó esserci speranza. Perchè esistono uomini così, che sanno dare senza secondi fini. È coraggioso e va incontro alla vita, aiuta gli ultimi, tende la mano invece che nascondersi. Ho imparato molto da lui.
Fra street art e sopravvivenza si consuma l’inferno degli esclusi. Quali sono le sensazioni primarie del toccare con mano questa piaga purulenta?
La sensazione appena entri nel bosco della droga è che sia una sconfitta. Il fallimento dell’uomo. Detta così ha le forme di uno scenario apocalittico ma non credo di esagerare nel paragonare il bosco di Rogoredo alla distruzione dell’essere umano. È un luogo pieno di niente, di persone, tante, troppe, abbandonate alla morte mentre i normali, o presunti tali, girano lo sguardo e la faccia dall’altra parte per non sentire e non vedere e restare nel loro eremo pensando che tutto quel dolore non toccherá mai le loro vite tranquille ma è un’illusione.
A un certo punto entrano in scena tutti gli altri. Con le loro storie. E soprattutto passa un messaggio, lì i soprannomi non sono vezzeggiativi, sono marchi quasi d’infamia. Quando torna col pensiero a quelle esistenze cosa prova?
Ricordo con orrore il mondo parallelo del bosco di Rogoredo. Viaggia accanto a quello in cui noi viviamo quasi sempre, cerca di ricalcarlo ma lo scimmiotta creando una realtà a metà tra sofferenza e violenza. Ricordo, forte, l’odore della cenere dei fuochi accesi in tutto il bosco per scaldarsi e per scaldare la roba, misto al marciume. L’eroina si accompagna al disgusto per il mondo e per la propria persona, chi la assume non si lava più, vive in mezzo all’immondizia e al disagio. La verità è che quando entri nel bosco non ne esci mai uguale a prima. Quel luogo ti cambia dentro. Ma è una cosa strana: ti fa come riacclimatare con la vita e ti spinge a capire che se molti di quei ragazzi distrutti sono riusciti a intraprendere un percorso di cambiamento nelle Comunità, e a Rogoredo è successo, possiamo farcela davvero a cambiare le cose
È errato dire che ognuno di loro, degli abitanti del bosco, avrebbe potuto benissimo avere un proprio romanzo?
Ogni storia del mio libro è un capitolo di vita e potrebbe essere un libro a sè. Carlo, Silvia, Napoli, Regina, Luna sono persone con un loro vissuto da raccontare, da capire, da amare. Ci vuole un grande sforzo per non accettare a priori veritá che a volte la società ti mette di fronte. Come dice il Presidente di San Parrignano Alessandro Rodino dal Pozzo nella preziosa prefazione al mio libro, la droga è democratica e spietata. Mai come nel bosco di Rogoredo mi sono accorta di quanto sia vero. Ho conosciuto ragazzi con famiglie violente alle spalle ma anche giovani con padri amorevoli, cinquantenni schiavi delle sostanze, figli della borghesia milanese che si annoiavano, hanno provato a sballarsi e sono caduti nel baratro più profondo da cui uscire poi è veramente difficile.
Non c’è un lieto fine per questo libro, ma le domando, c’è salvezza?
La speranza c’è, nascosta, forse, ma c’è e il mio protagonista ne è l’emblema. Carlo è un ragazzo in gamba, sveglio, intelligente, ironico. Nonostante sia distrutto dalla droga e abbia una storia atroce, ha ancora voglia di cambiare. È ancora una persona, sogna per se stesso un futuro diverso dalla ferocia del bosco. Ha una luce dentro, uno ‘shining’ che lo fa risplendere e dona un po’ di speranza a chi vuole cambiare. Mi sono rispecchiata in lui perchè ho visto una storia che poteva essere la mia e quella di decine di giovani che conosco. Siamo stati forse soltanto più fortunati di lui e, dato che è accaduto, non possiamo più fingere di non vedere.