Non è l’Arena, trasmissione chiusa perché in perdita: “Baiardo voleva aiutarla trovando pubblicità”
Secondo il quotidiano, ogni puntata di “Non è l’Arena” raccoglieva 50mila euro di pubblicità e ne costava 200mila
Secondo “Il Foglio” non c’è nessun “mistero Giletti”. In un articolo del quotidiano in edicola oggi è scritto che ‘Non è l’Arena’ ha chiuso perché non faceva ascolti, e dunque era in perdita. Al punto che, a quanto pare, Salvatore Baiardo, il condannato per mafia che Massimo Giletti ha ospitato, si era offerto per trovare aziende interessate a investire nella pubblicità della trasmissione.
Quindi, dietro la decisione di Urbano Cairo di chiudere la trasmissione non ci sarebbe la censura. Sarebbe una decisione presa dall’editore perché preoccupato per i conti. Il Foglio racconta una storia di contabilità spicciola, e scrive che negli ultimi mesi per la trasmissione la situazione si stava facendo insostenibile. “Non è l’Arena” raccoglieva 50mila euro di pubblicità e ne costava 200mila. Molto di più del normale costo di un talk show, secondo il quotidiano.
In cinque anni “Non è l’Arena” ha dimezzato gli ascolti
Agli esordi, ovvero nella stagione 2017/18, la trasmissione di Giletti aveva una media spettatori di un milione e quattrocentomila. Nei successivi cinque anni li ha però dimezzati: la media è arrivata a 779mila. In questa stagione l’Auditel era tornato a crescere. Ma la pubblicità comunque non entrava, ed anche Giletti era consapevole del calo degli introiti. Però più andava male, più lui si spingeva su temi discussi. Compresa la mafia e la stagione delle stragi.
Spesso, infatti, l’insuccesso costringe questi conduttori di talk-show ad acrobazie nel ramo dell’informazione che dovrebbe fare discutere. Ma un amministratore delegato di una delle più grandi concessionarie pubblicitarie d’Italia ha dichiarato a Il Foglio: «Per piazzare un prodotto, lo sponsor chiede due cose: gli ascolti devono essere buoni e la trasmissione adatta. Pochi sono disposti a pagare per trasmissioni che vanno male. Praticamente nessuno è disposto a pagare per avere uno spot di biscotti dentro a una trasmissione che quando hai finito di vederla ti fa venire voglia di uscire di casa e spaccare le vetrine».