Omicidio Marco Vannini, il pg: «Condannare la famiglia Ciontoli a 14 anni di carcere»
La richiesta del sostituto procuratore generale della Corte d’appello per Antonio Ciontoli, la moglie Maria Pezzillo e i due figli Martina e Federico: «Gli imputati hanno mentito in continuazione»
In primo grado Ciontoli era stato condannato dal Tribunale di Civitavecchia a 14 anni e gli altri imputati a 3 anni. In appello, però, il sottufficiale si era visto derubricare il reato di omicidio volontario in colposo e ridurre così la pena a 5 anni, mentre per gli altri erano state confermate le condanne a 3 anni. Una sentenza annullata lo scorso febbraio dalla Cassazione che, appunto, ha evidenziato il ruolo attivo e le responsabilità di tutta la famiglia. «Tutti hanno collaborato e credo che ormai questo sia appurato – si è sfogata la madre di Vannini, Marina Conte – se una cosa del genere fosse avvenuta in casa mia, io sarei intervenuta. La moglie di Ciontoli è mamma come me, quando ha chiamato l’ambulanza stava andando via, mi ha detto che Marco era caduto dalle scale».
Duro anche l’avvocato Franco Coppi, difensore di parte civile per conto della famiglia Vannini: «I Ciontoli sono stati tutti conniventi, si sono arrogati il diritto di togliere a Marco la possibilità di essere soccorso e, probabilmente, salvato». Nella prossima udienza, il 23 settembre, parola alla difesa. Il 30, è attesa la sentenza.
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Condannare la famiglia Ciontoli a 14 anni di carcere per l’omicidio volontario di Marco Vannini: è la richiesta del procuratore generale Vincenzo Saveriano al processo d’appello bis per l’omicidio del ragazzo, che fu ucciso da un colpo di pistola sparato da Antonio Ciontoli. In subordine il pg ha chiesto per i figli e la moglie di Ciontoli di valutare l’ipotesi di concorso anomalo in omicidio, in base all’articolo 116 del codice penale, e condannarli alla pena di 9 anni e 4 mesi di reclusione.
Era la notte tra il 17 e il 18 maggio 2015 quando Marco Vannini fu ucciso da un colpo di pistola mentre si trovava a casa della fidanzata Martina a Ladispoli, sul litorale romano. Il ragazzo, poco più che ventenne, che poco prima aveva detto ai genitori che avrebbe trascorso la notte nell’abitazione della fidanzata, secondo gli inquirenti poteva essere salvato, ma sarebbe stato lasciato privo di soccorsi per due ore. Una condanna a morte.