Omicidio Emanuele Burgio, dietro la sua morte nessuna premeditazione: “lite degenerata”
Quello di Emanuele Burgio non è stato omicidio premeditato ma bensì un’azione estemporanea “nel corso di una discussione insorta per iniziativa proprio della vittima”.
A specificarlo sono i giudici della prima sezione della Corte d’Assise, presieduta da Sergio Gulotta, nelle motivazioni della sentenza sull’omicidio di Emanuele Burgio, il giovane figlio di un boss di Porta Nuova ucciso a colpi di pistola la notte del 31 maggio di due anni fa alla Vucciria.
I giudici parlano di una discussione “assolutamente plateale, senza alcun accorgimento per ricercare una potenziale impunità. Davanti a molteplici testimoni oculari ed in una zona dove notoriamente sono presenti diversi impianti di videosorveglianza”.
Le condanne
Per il delitto, a giugno, erano stati condannati a 18 anni di reclusione Matteo Romano e il nipote Giovanni Battista, mentre è stato assolto il padre di quest’ultimo, Domenico Romano.
L’omicidio
Secondo quanto raccontato da Domenico Romano la notte tra domenica 30 e lunedì 31 maggio Emanuele Burgio avrebbe minacciato, insieme ad altre persone armate di mazza, suo figlio e la sua famiglia con la frase “vi scippo la testa e ci gioco a pallone”. Così il fratello, Matteo Romano, sarebbe intervenuto a protezione dei propri parenti, sparando per difenderli e uccidendo il 26enne in via dei Cassari, alla Vucciria. Il Gip, però, non ha considerato attendibile la ricostruzione fornita da Romano. Il profondo astio tra la vittima e i Romano sarebbe nato a seguito di un sinistro stradale apparentemente di poco conto.