Open Arms, Salvini a Palermo per il processo: le accuse degli ex ministri Trenta e Toninelli

Oggi l’udienza nell’aula bunker dell’Ucciardone

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Matteo Salvini nuovamente a Palermo per il processo Open Arms. Stamani nell’aula Bunker dell’Ucciardone sono stati ascoltati anche gli ex ministri Elisabetta Trenta e Danilo Toninelli.

Su richiesta della difesa dell’oggi ministro delle Infrastrutture, è stato acquisito al fascicolo del dibattimento il materiale audio, fotografico e video relativo alle operazioni di salvataggio effettuate dalla Open Arms nell’agosto 2019.  Si tratta di alcune riprese, effettuate da un sommergibile della Marina Militare, e dei file di conversazioni che coinvolgono l’equipaggio della nave della ong; messi a disposizioni delle parti dagli inquirenti, facevano parte del fascicolo del pm.

L’avvocato Giulia Bongiorno, legale di Salvini, imputato nel processo per sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio, ha chiesto che il materiale fosse messo a disposizione del tribunale. Al fascicolo è stata acquisita anche una consulenza disposta dalla Procura sullo stato dell’imbarcazione soccorsa l’1 agosto del 2019 dalla nave Open Arms. 

Open Arms, le deposizioni degli ex ministri Trenta e Toninelli

“Le decisioni sull’assegnazione del porto sicuro erano del ministro dell’Interno perché erano una sua competenza. Da ministro della Difesa e in relazione ai divieti di ingresso in acque italiane a me spettava solo verificare che non si trattasse di nave militare”. Così oggi l’ex ministro della Difesa Elisabetta Trenta ha dichiarato nell’aula bunker dell’Ucciardone.

Dopo Trenta, ha deposto l’ex ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli. “Non ero a conoscenza personalmente di rischi relativi alla sicurezza pubblica o sanitari legati all’eventuale sbarco dei migranti soccorsi dalla nave Open Arms, il rischio mi era stato prospettato dal ministro dell’interno“, ha dichiarato. “Dopo che il Tar sospese il decreto che vietava l’ingresso della Open Arms in acque italiane, dal Viminale arrivò un secondo decreto che io non firmai, visto che il contesto non era mutato rispetto alla firma del primo decreto. Le cose anzi si stavano complicando perché nel frattempo erano passate due settimane. E inoltre era chiaro che un nuovo decreto, a condizioni immutate, sarebbe stato impugnato e di nuovo annullato. Che senso aveva replicare?”.

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