Una nuova maturità letteraria e personale, l’approdo alla consapevolezza emotiva, la volontà di sperimentare le sfide della vita all’insegna di una libertà interiore conquistata lungo il cammino e intensamente coltivata attraverso fasi di smarrimento, risalite, stupore e curiosità.
C’è tutto questo, e molto di più, nella nuova opera dell’autrice palermitana Myriam De Luca, “L’invisibile nutrimento”, raccolta di poesie edita da Thule.
La terza, per esattezza, dopo il brillante romanzo d’esordio dal titolo “Via Paganini, 7” – dal quale è stata tratta la fortunata e omonima opera teatrale, apprezzata da pubblico e critica – e la silloge poetica “Esortazioni Solitarie”, edite rispettivamente nel 2016 e nel 2018.
I versi de “L’invisibile nutrimento” raccontano una donna colta in un momento di transizione, sospesa tra le ombre del passato e la dimensione presente : lo sguardo cristallino della poetessa, tuttavia, volge verso un “oltre” che parla al lettore di futuro e rinascita, della necessità di cambiare non per piacere agli altri ma per trovare accordo con se stessi e pacificarsi, in un mondo dominato da inquietudini e ossessioni urbane che rischiano di disumanare l’individuo fino a privarlo della coscienza di sé, del proprio valore e dei propri valori.
Myriam De Luca è un’autrice capace di far parlare la vita di ogni giorno attraverso i versi che scrive, incastonando le parole in scenari naturali di grande bellezza, dipinti con pennellate vivide ma delicate.
Tra nuvole maestose, coste ventose e foglie rigogliose, lei si muove con grazia conducendo il lettore attraverso montagne, cieli limpidi e piogge autunnali e inducendolo a soffermarsi sul senso dei desideri e delle cose.
Lucido e inquieto, l’universo espressivo dell’autrice si connota per la felice coincidenza tra l’armonia dei versi e la capacità “pittorica” di descrivere l’ambiente circostante all’insegna di un’essenzialità davvero esemplare, che svela la donna ancora prima che la poetessa.
La fragilità diventa punto di forza congiuntamente alla presa di distanza da tutto ciò che è apparenza, vacuità, ipocrisia; i sentimenti e le emozioni sono manifestati con pudore ma con decisione e generosità : “vorrei che l’umiltà raccontasse della mia forza e la libertà ricordasse il mio sorriso”, si legge nell’emozionante “Quando non ci sarò più”.
Tra l’autrice e il lettore si determina una sorte di “idem sentire” fondato non tanto sulla similitudine dei rispettivi vissuti, bensì sui tratti di universalità che la prima è capace di imprimere a ogni singola parola, trasformando esperienze intimamente personali in segmenti di vita nei quali ognuno può riconoscersi.
“Emozione senza ragione” è la più riuscita tra tutte le poesie della silloge: un piccolo capolavoro che rimanda, nella perfezione espressa, alle canzoni di Suzanne Vega e alla loro dimensione circolare.
“L’amore non è sempre giusto” , si legge, ma ha un senso, seppure “disordinato” , sintetizzato mirabilmente in “Attimi di eterno”.
Non mancano i riferimenti alle angosce tipiche della temporaneità attuale: in tal senso, “Quale fede?” rappresenta una riflessione molto dubbiosa e tormentata sul ruolo delle religioni e sulla conflittualità che esse determinano se vissute come ristoro rapido del pensiero e del sogno, all’insegna di una sorta di follia collettiva che poco ha a che vedere con la spiritualità e la sacralità.
L’opera si arricchisce della prefazione del professore Tommaso Romano, che evidenzia la nozione di bellezza dominante nell’espressività poetica dell’autrice, capace come pochi, nel panorama letterario contemporaneo, di lasciare un segno nel mondo interiore del lettore, “costretto” a fare i conti con se stesso, in perfetto equilibrio tra visione e realtà, in un flusso di coscienza risvegliato dalle immagini e da parole delle quali, a tratti, sembra persino di sentire il suono.
Vincitrice del “Premio Letterario Maria Cristina di Savoia” con l’opera d’esordio, Myriam De Luca è impegnata in una costante ricerca che si dispiega attraverso l’arte e la cultura, elementi focali della sua vita.