Questa è la vergogna del Palazzetto dello sport di Palermo. Dell’ex Palazzetto dello sport, per essere precisi, perché oggi sarebbe più facile e forse meno dispendioso mettere in azione le ruspe e ricominciare daccapo. Cancelli chiusi e accessi sbarrati, anche se chi conosce bene la zona parla di un foro nella recinzione che consente il passaggio. E le immagini testimoniano che non si tratta proprio di Fort Knox.
Avvilente la vista esterna, ma da dentro la desolazione è assoluta. Del parquet, ovviamente, non c’è più traccia, molti dei sediolini sono stati divelti. Dalla zona uffici ai parterre, riservati a stampa e televisioni, l’effetto è quello della bomba mirata a distruggere.
Eppure ci sono tracce di vita, uno zaino sulla parete del campo, delle scarpe sul muretto di un vialetto, in lontananza sembra di scorgere anche traccia di vestiti messi ad asciugare. Leggende metropolitane accennano a varchi da dove si entra per consumare sesso veloce e al riparo da occhi indiscreti. Riscontri zero, ma non ci sarebbe poi da meravigliarsi.
Ad ottobre il Palazzetto avrebbe fatto il suo ventesimo compleanno, ma ha cessato di vivere alla vigilia dei suoi 10 anni, nell’aprile del 2008, parzialmente sventrato da una impetuosa tempesta che si abbatté su Palermo. Ma decapitato dall’inefficienza di quella stagione politica che trattò sempre il palazzetto come un figliastro, una sorta di cenerentolo che andava ignorato, forse perché uno dei totem venerato dall’Orlando di fine anni ’90. Oggi lo spettacolo è impietoso e alla sbarra c’è un’intera generazione di amministratori che in 12 anni hanno portato alla fine di un palazzetto sul quale la città fece anche un investimento sul piano della pratica agonistica. Proprio tra la fine degli anni ’90 e l’inizio del 2000 ci fu l’illusione di una squadra di pallavolo da vertice in A1 e addirittura di livello europeo. Un solo giro di giostra, un capriccio o poco più che però diede lustro al palazzetto. Fu l’antipasto del Palermo di Zamparini, prima il sogno poi la fine.
Per il resto qualche evento musicale, un paio di tour di Claudio Baglioni, una toccata e fuga di Jovanotti, l’esperienza del musical Notre Dame de Paris. Persino una performance di Beppe Grillo in versione pre guru, che rodava sul palco i temi che lo avrebbero portato ad ammaliare qualche anno dopo mezza Italia. Personalmente ricordo una delle ultime apparizioni di Francesco Guccini in Sicilia e basta questo per far venire giù qualche lacrimone.
Eppure nel 2008 sarebbe bastato poco per riparare il danno. Ma tanto Orlando santificò il Palazzetto, quanto Diego Cammarata ignorò l’urlo di dolore di quella struttura sventrata dalla furia del vento. Sarebbero bastati allora 200.000 euro per riportarlo in vita, si preferì tirare a campare e consegnarlo ai vandali che, mattoncino dopo mattoncino, lo privarono di tutto ciò che aveva un senso depredare. Nessuna giustificazione per quella che può considerarsi un esempio, purtroppo non isolato, di finta eutanasia. Ci si comportò come se il palazzetto avesse deciso di non vivere più, nessuno ebbe il coraggio di dirlo apertamente temendo la querela, ma nei corridoi si metteva in discussione la sana e robusta costituzione fisica di quel colosso che subì la violenza della bufera. Il pretesto per non agire.
Nel 2014 il Comune, di nuovo nelle mani di Leoluca Orlando, annunciò i lavori di recupero, inserendo nel piano di recupero anche il Diamante di Fondo Patti, la struttura che avrebbe dovuto ospitare baseball e softball. Le immagini che vi mostriamo ci dicono che con le illusioni è meglio chiuderla qui.