Il silenzio stampa è la scelta più sbagliata che il Palermo potesse compiere in questo momento. A Viterbo è arrivata l’ennesima sconfitta di questo campionato mediocre, la seconda consecutiva, dopo quella interna contro il Catanzaro. Un ko meritato, quello di oggi, a differenza della battuta d’arresto coi calabresi, dopo una prestazione deludente sotto l’aspetto tecnico e sconcertante sotto quello caratteriale, con due espulsioni che hanno lasciato la squadra in nove quando serviva ogni energia per tentare la rimonta.
Il silenzio stampa è un errore grave perché arriva proprio quando i tifosi avrebbero bisogno di risposte. Serie, però, non quelle di circostanza, quella sorta di training autogeno che Boscaglia fa ogni volta per convincere sé stesso e gli altri di una realtà che esiste soltanto nelle sue convinzioni, ma che cozza coi risultati.
La sconfitta di oggi è figlia degli errori del passato, nell’impostazione di una campagna acquisti estiva tardiva e lacunosa e di un mercato invernale inesistente. Ma arriva in un momento drammatico, nel rettangolo di gioco, tra le mura del Barbera e fuori.
Le istantanee che compaiono davanti agli occhi dei tifosi mostrano una società lacerata dallo scontro a colpi di cavilli tra gli azionisti che apre interrogativi sul futuro del club, sugli assetti, sul potenziale economico, sui programmi che si vogliono portare avanti a questo punto e come; interrogativi che meriterebbero risposte, ma che sbattono contro il silenzio.
Un’altra istantanea evidenzia una squadra che denota una condizione mentale preoccupante, uno stato di tensione che da strisciante è deflagrato clamorosamente oggi in campo con la espulsione di Odjer, ieri con la lite tra Almici e Kanoutè e sabato scorso con la reazione di Saraniti, anche lui espulso contro il Catanzaro. Fatto che alimentano impressioni e, anche in questo caso, tante domande che ricevono in ambio, invece, il silenzio.
Al contempo, invece di recuperare terreno in classifica, la compagine di Boscaglia continua a perderne inesorabilmente, ma questo purtroppo è ormai l’aspetto paradossalmente meno importante. Perché ormai è chiaro che l’obiettivo massimo del Palermo, quest’anno, è la qualificazione ai play off. Ottavo, nono o decimo non cambierebbe nulla, perché francamente è davvero inimmaginabile che negli spareggi questa squadra possa superare il primo turno, non avendo mai battuto una delle squadre che la precedono, fatta eccezione per la Juve Stabia.
Lo abbiamo scritto tempo fa, questo campionato è già finito per i rosanero. Arrabbiarsi per una sconfitta, quindi, è tempo perso. Semmai, irrita il modo come vengono perse le partite. Oggi non si è salvato nessuno. Non la difesa: anche a Viterbo, come col Catanzaro e in troppe altre occasioni, quest’anno, l’autore del gol, Adopo, ha fatto quello che ha voluto in area, ha scartato Almici e poi solissimo ha scaricato il pallone in porta per il vantaggio dei gialloblu che si è dimostrato decisivo. L’azione del fallo da rigore, poi, ricorda tante altre azioni che hanno portato gli avversari a fare gol a tu per tu con Pelagotti. Non si salva il centrocampo, incapace di creare una minima idea di gioco.
Il Palermo, con l’arrivo di De Rose ha cambiato modo di giocare. Si è passati dal possesso palla ossessivo e troppo spesso sterile a una maggiore ricerca di gioco sulle fasce per tentare la carta dei cross in area. Uno schema che è riuscito, nelle prime gare, grazie alla vena di Lucca, ma che oggi non ha funzionato per nulla, complici i troppi errori dell’ex Reggina, della scarsa vena di Rauti e Floriano e i meriti dei difensori laziali. Non si salva l’attacco, dove il solo Lucca potrà meritare un voto sopra la sufficienza, alla fine della stagione, con Valente che, a sprazzi, ha fatto vedere delle buone cose. Possiamo dire che oggi la sua assenza si è notata.
Il Palermo, nell’inguardabile primo tempo, ha provato a giocare soltanto a sinistra, sull’asse Almici-Rauti, senza costrutto, e come se Floriano non esistesse, non fosse in campo e l’ex Bari, dal canto suo non ha fatto vedere nulla, tranne un tentativo di tiro a giro a inizio ripresa, quando sembrava essere sceso in campo un Palermo più volitivo. Un fuoco di paglia, che ha lasciato soltanto cenere. Oggi è scesa in campo la venticinquesima formazione diversa in ventisei partite, una girandola di interpreti per esecuzioni quasi sempre stonate: in troppi hanno preso delle stecche, ma anche lo spartito, evidentemente, non era adeguato alle loro doti. E questo dice tutto sul mercato fatto dalla società nelle sessioni di mercato.
Un fallimento annunciato che non attenua le responsabilità di Boscaglia. Il quale ha accettato lo stato delle cose, magari con qualche messaggio sibillino, e si è ostinato a tentare di cucinare lo stesso la sua pietanza tattica, provando a mischiare ingredienti inadatti, prima di decidersi a cambiare. Ma se il Palermo non ha acquisito nuove certezze, ha anche perso le poche che aveva dimostrato di avere. Perché? Non lo sapremo, perché c’è il silenzio stampa.
Insomma, un quadro a tinte fosche, sullo sfondo di una tifoseria spaccata, disamorata e disillusa, in attesa di risposte che non arriveranno, almeno nell’immediato. Forse, oggi, il Palermo ha perso due volte.