Palermo, Foschi: “Col Cesena derby personale? Cesena è solo la squadra della mia città, Palermo la mia vita”

Rino Foschi, storico e indimenticato dirigente del Palermo, ha concesso una lunga chiacchierata al quotidiano La Repubblica. Tanti gli argomenti affrontati e un unico grande denominatore: il suo amore profondo per la città di Palermo e per la maglia rosanero. Di seguito alcuni dei passaggi principali della sua intervista.

Il Palermo del presente

“La squadra non è male – esordisce Foschi –. Conosco bene Gardini e Bigon. Proprio Bigon lo avrei voluto in passato con me. Siamo amici, ma si è dimenticato di me e nemmeno mi ha fatto una telefonata. Così come nessuno mi ha fatto una telefonata per invitarmi all’inaugurazione del centro sportivo – rivela il dirigente romagnolo –. Credo che la squadra non sia completa, ma sono sicuro che lotterà per la A. Con la Juve Stabia è stata un’ottima gara e se il Palermo fa due o tre risultati di fila non lo ferma nessuno”.

Se la prossima gara col Cesena per me rappresenta un derby? Non è così – risponde laconico Foschi -. Cesena, soprattutto questo Cesena, è solo la squadra della mia città. Il Palermo per me è altro. Il Palermo per me è tutto. È stato la mia vita. Sfida del cuore? Ma quando mai – ribadisce -. Le dico una cosa: a Cesena non vado allo stadio ormai da anni, mentre del Palermo so praticamente tutto e lo seguo ogni volta che gioca. A Palermo ho ancora tanti amici. Sento tantissima gente. Il mio obiettivo di vita era quello di invecchiare a Palermo. Poi le cose sono andate come sono andate”.

Il passato in rosanero ed il rapporto con Zamparini

Quanto mi manca Zamparini? Manca tanto a me e al calcio – confessa Foschi -. Manca nonostante tutti i suoi difetti e i suoi problemi. Peccato per il finale della sua esperienza a Palermo. Finanziariamente l’ultimo Zamparini era messo malissimo, non aveva più soldi per il calcio. Si è circondato di certa gente, a iniziare dai croati, perché pensava gli potessero portare giocatori forti. Anche io ho dovuto subire questi personaggi. Mi aveva chiamato perché voleva tornare nel mondo del calcio – racconta ancora il DS –, sembrava tutto pronto sino a quando non è morto il figlio Armando. A quel punto mi ha telefonato e mi ha detto: “Non ne facciamo più niente. Non m’interessa più niente”.

Quando è morto, ha lasciato detto ai familiari che avrebbe voluto solo me al suo funerale (Rino Foschi si commuove e piange, ndr). Sono andato nella camera ardente a Lugo di Romagna e l’ho visto nella bara con i suoi jeans e la sua camicia. A un certo punto, i figli mi dicono: “Girati”. Mi volto e alle mie spalle c’era un maxi schermo che proiettava le immagini dei nostri successi a Palermo. Io e lui insieme (piange nuovamente, ndr)“.

A quale colpo di mercato sono rimasto più legato? È una domanda difficilissima perché di colpi ne abbiamo fatti tanti – risponde Foschi –. Ricordo i 5 campioni del mondo. Li abbiamo presi uno alla volta e prenderli è stato un macello. Ogni volta litigavo con Zamparini, che poi mi dava ragione. Quello che mi ha dato più soddisfazioni, non ci crederà, è stato Biava. In quel periodo non sbagliavamo un giocatore. Ho avuto uno staff che ogni giorno mi relazionava sui giocatori di ogni parte del mondo – prosegue –. C’erano Corti, Faccenda e il brasiliano Dunga. Le faccio un esempio: eravamo indecisi se prendere Pato o Cavani. Per Pato volevano 23 milioni di euro e io questo Cavani non lo avevo mai visto. Però mi sono fidato di Dunga, che mi ha detto di puntare su di lui”.

Photo credits: Tullio M. Puglia/Getty Images

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