Il pentito Geraci racconta ai magistrati: «Così facevo pagare il pizzo»

Il 41enne arrestato ad Altofonte che collabora con i magistrati da alcune settimane, racconta come coordinava le attività per conto della famiglia di Porta Nuova

Alfredo Geraci ha iniziato a collaborare con i magistrati poco dopo il suo arresto, avvenuto il 23 settembre. Gli uomini della catturandi della Mobile e della sezione investigativa del commissariato Oreto, lo hanno scovato in un appartamento ad Altofonte dove si nascondeva. Il nuovo pentito attualmente sta raccontando traffici e affari della famiglia mafiosa del mandamento di Porta Nuova, relativi al 2012 e il 2013. E ne ha cose da dire Geraci, perché è stato un «uomo di fiducia» del capomafia emergente del centro storico, Alessandro D’Ambrogio, che gli aveva affidato il compito di curare il settore delle estorsioni. Un lavoro fatto bene: in effetti il pizzo veniva chiesto a tappeto, a tutti i negozianti, tranne «a quelli con l’adesivo» e cioè ai commercianti che aderivano ad Addiopizzo.

LE VITTIME DEL PIZZO

«Mi occupavo di estorsioni e di dare autorizzazione e decidere il luogo ove mettere le bancarelle di sigarette al Capo, alla Kalsa e a Ballarò». Il verbale relativo al 41enne Geraci inizia con questa dichiarazione. Come scrive oggi il Giornale di Sicilia, tra le vittime del racket citate dal pentito c’è il bar Urso di via Lincoln. «Al bar Urso andavo a prendere io ogni mese e mi dava 250 euro…», ha precisato. «E poi prendevo in via Divisi… c’è un negozio di biciclette che mi dava pure 250 euro al mese e li riscuotevo io». La “zona” di Geraci comprendeva anche i locali della movida, in via dei Candelai. «Voglio dichiarare ─ si legge nel verbale ─ di essere il responsabile dell’estorsione commessa ai danni del locale Mescad del rumeno Gabriel Gheraescu». A lui Geraci chiese «2.000 euro per aprire e poi 200 euro quale pagamento mensile. Ma in effetti, come ha precisato il pentito. l’estorsione non si è mai concretizzata, perché «nel frattempo Gheraescu si era rivolto a Franco Mistretta come mediatore per non pagare. Mistretta, noto come “Franco il sorriso”, «faceva parte della famiglia di Santa Maria di Gesù» ed era «responsabile della zona di via Mendola». Il suo intervento risultò positivo, perché il rumeno non pagò nulla. Ma è un caso isolato: la tassa la versavano tutti o quasi, come ha precisato Geraci: «Riguardo agli altri locali che c’erano nella zona, tutti pagavano il pizzo, tranne il mio», il Don Chisciotte.

FUNGEVA ANCHE DA PACIERE

Geraci fungeva anche da paciere, e se sorgevano incomprensioni, metteva le cose a posto. «Ricordo il caso di Maranzano Letterio, uno dello Zen…», che aveva creato disordini e si sarebbe permesso anche di schiaffeggiare qualcuno tra i gestori dei locali. Geraci lo riportò all’ordine facendo intervenire due pezzi da novanta: Sandro Dieli e anche il cugino, Gaetano Maranzano detto Occhio fasano. Inoltre tra i suoi compiti c’era pure quello di favorire alcuni summit. «Oltre alle estorsioni, mi occupavo di organizzare appuntamenti con altri esponenti mafiosi per conto di D’Ambrogio», come quando bisognò risolvere con un faccia a faccia i malumori all’interno del clan di Resuttana. Perché non si riuscivano a raccogliere abbastanza soldi per i carcerati, e mandarli a Vito Galatolo, all’epoca in soggiorno obbligato a Venezia.