Recentemente è tornato alla ribalta il Ponte sullo Stretto. È bastata un’affermazione di Matteo Renzi contenuta in un suo libro di prossima uscita, per riaprire ufficialmente il dibattito pubblico sulla grande infrastruttura. “Per vincere la sfida della povertà serve più il ponte sullo Stretto che il reddito di emergenza”, ha scritto Renzi nel suo libro, e questa affermazione ha trovato l’appoggio di molti. Anche il presidente della Regione Siciliana Nello Musumeci ha partecipato al dibattito, dichiarando: «Periodicamente si torna a parlare del Ponte sullo Stretto, sul quale tutti conoscono la mia posizione: sono da sempre favorevole e non ho mai cambiato opinione. Mi fa sorridere chi dice che prima del Ponte si debba pensare ad altro: è solo l’eterna scusa per non fare mai niente».
L’idea di collegare in modo stabile la Sicilia al continente risale ai tempi dei romani. Nei secoli non è stata mai abbandonata, ed i progetti non si contano. L’ultimo ha visto la luce nel 1981, quando è stata costituita una società di scopo, (tutta a capitale pubblico), che è stata funzionante fino al 2011, addirittura con gli espropri già iniziati. Gli oneri che questa società ha sostenuto per lo sviluppo del progetto definitivo dell’opera, secondo la Corte dei conti hanno superato quota 300 milioni di euro.
Infatti l’ultimo progetto del Ponte sullo Stretto era tanto ben avviato che erano iniziati gli espropri. Ma fu bruscamente interrotto nel 2011, con la caduta dell’ultimo governo di centrodestra. È caduto nell’oblio, e ogni tanto se ne parla, come sta accadendo adesso. Ma pochi sanno che di quel progetto è rimasta in piedi una SpA: la “Stretto di Messina”. Una società composta dall’Anas, Rfi e lo Stato, in liquidazione dal 2013, ancora in essere per i tanti contenziosi nati dall’improvviso stop al progetto. Ci sono ancora le vertenze aperte con il gruppo Eurolink, capitanato dalla Impregilo che ha presentato richieste di risarcimento danni per 700 milioni di euro, e con i titolari dei terreni che hanno chiesto il pagamento dell’esproprio.
Quindi non è bastato che in 30 anni il sogno del Ponte sullo Stretto avesse bruciato ingenti risorse pubbliche. Poiché la società creata allora che non è scomparsa, negli ultimi 10 anni è costata quasi 20 milioni di euro. Spesi per pagare dipendenti, un liquidatore, un collegio di revisori dei conti, spese di manutenzione e spese per piccoli appalti e servizi. Il quotidiano “La Repubblica” scrive che il commissario liquidatore, Vincenzo Fortunato, avvocato molto noto e già capo di gabinetto del ministro Tremonti nel secondo governo Berlusconi ha un compenso da 120mila euro l’anno come parte fissa, più 40mila di parte variabile.
Per questa società c’è un collegio dei revisori, composto da tre commercialisti, per i quali è previsto un compenso di novemila euro per il presidente e di seimila euro per gli altri due componenti. La società di revisione Ey ha un compenso di 36mila euro per gli anni 2018, 2019 e 2020. Inoltre, tra le spese per servizi segnalate all’Autorità anticorruzione nel 2019, la società “Stretto di Messina” ha registrato 1.800 euro per «apparecchiature informatiche», 269 euro per l’abbonamento annuale al Sole 24 ore e di 200 euro per la Settimana fiscale. E inoltre sono stati pagati quattromila euro alla ditta “Ufficio Idea” per acquisti di cancelleria varia, più altri micro-affidamenti da mille a duemila euro a uffici di ingegneria e tecnici.