Polemica per la statua del piccolo Giuseppe Di Matteo, ucciso dalla mafia

La giustificazione dell’ex commissario regionale: “Mancano i permessi”. La delusione dello zio del bambino ucciso dalla mafia: “È un’offesa alla sua memoria”

Il piccolo Giuseppe Di Matteo diventa un caso anche a distanza di 26 anni dalla sua morte. Il figlio del pentito che Cosa nostra rapì l’11 gennaio 1996, e poi sciolse nell’acido, pare non trovare pace neanche da morto. Il motivo? La statua in bronzo che lo ricorda, un bambino vestito da fantino opera dell’artista Nicolò Governali, è avvolta attualmente da un lenzuolo bianco. Dove era stata sistemata, all’ingresso della Casa del fanciullo di San Giuseppe Jato, sede del Comune. Nunzio Di Matteo, zio del piccolo Giuseppe, in merito ha detto: «Il 30 luglio, il commissario della Regione Salvatore Graziano aveva dato il via libera all’installazione, poi nei giorni scorsi ci ha chiamato per dire che dovevamo toglierla. Ma io non ho alcuna intenzione, quella statua resta lì».

L’EX COMMISSARIO GRAZIANO

Ma il commissario Graziano non è più a capo dell’amministrazione comunale. Nel frattempo si sono insediati i tre commissari nominati dal consiglio dei ministri dopo lo scioglimento per il rischio di infiltrazioni mafiose. Graziano ha detto a Repubblica: «Ho subito accolto l’iniziativa della famiglia Di Matteo, ma ci vuole una delibera per sistemare quella statua in Comune, che non è certo una casa privata. In questa vicenda non sono stato supportato bene dagli uffici comunali. Ho comunque già parlato coi nuovi commissari». Poi ha aggiunto: «Il tempo di fare tutti gli adempimenti e poi la statua tornerà al suo posto». Intanto, la scultura è stata coperta da un lenzuolo bianco. Con un’ingiunzione di sfratto. «Che pena», il commento dello zio Nunzio.

LO ZIO DI GIUSEPPE: «POSSO ANDARE A TESTA ALTA»

Lo zio di Giuseppe, Nunzio Di Matteo lavora al Provveditorato Opere pubbliche. Andò via dalla Sicilia nel 1988, e qualche tempo dopo vinse un concorso al ministero dei Lavori pubblici. È rimasto a Roma fino al 2014. «Io ho preso una strada diversa da mio fratello ─ ha tenuto a dire ─. Ho sempre lavorato, anche da ragazzo, posso andare a testa alta. Il mio impegno è ormai quello di custodire la memoria di Giuseppe». Memoria che adesso è coperta da un lenzuolo. A San Giuseppe Jato, il paese di Giovanni Brusca, il capomafia oggi collaboratore di giustizia che ordinò la morte del bambino dopo 779 giorni di prigionia. Giuseppe aveva 14 anni. Brusca a fine maggio 2021 è tornato libero, dopo che ha scontato 25 anni di carcere.

«LA MEMORIA DI GIUSEPPE È ANCORA SCOMODA»

Nunzio Di Matteo è arrabbiato: «Mi ero rivolto anche al Comune di Altofonte, il paese della nostra famiglia — dice —. Il sindaco mi aveva detto che avrebbe accolto la statua in un plesso scolastico, ma senza la targa, che dice: “Io vivo in voi che credete nella giustizia e avete fede in Dio. Ma cosa c’è di male in questa targa? Mi è sembrata una scusa. E mi sono rivolto al Comune di San Giuseppe Jato, che gestisce il giardino della memoria, il casolare dove fu ucciso mio nipote. Ma, evidentemente, la memoria di Giuseppe è ancora scomoda». (Foto Repubblica)