Rapimento di Eitan: guerra di religione, ma anche un ingente risarcimento

Il ramo italiano della famiglia appartenenti ai “Cattolici di tradizione ebraica” accusa i nonni materni di Eitan, fedeli alla “Dottrina sefardita”

EITAN

Shmuel Peleg, il nonno di Eitan, il bambino rapito qualche giorno fa, è indagato per «sequestro di persona aggravato». La moglie Etti è sospettata di essere sua complice, e inoltre si è aperta la caccia ai possibili fiancheggiatori che li avrebbero aiutati a rapire il bambino. Questa che si sta dipanando, è una tristissima storia di una faida familiare, che rischia di devastare ulteriormente la psiche di un bambino di 6 anni che ancora non si è ripreso dallo choc di aver perso in un attimo genitori, fratellino e bisnonni. Insomma, gli affetti più cari.

I PARENTI SOPRAVVISSUTI SE LO CONTENDONO

E adesso cosa fanno i pochi parenti sopravvissuti? Se lo contendono, come fosse un oggetto. Di più: si è arrivati a rapirlo, trasferendolo in aereo dall’Italia in Israele. Ma in effetti, cosa può esserci all’origine di questo «blitz», un’azione tanto giuridicamente criminale quanto umanamente vergognoso? Fin dall’inizio di agosto, dall’indomani della tragedia della funivia del Mottarone, fin da quando Eitan era in ospedale, i componenti delle famiglie Biran e Peleg iniziarono a litigare sul destino del bambino. E fin da allora apparve evidente che la chiave per comprendere il senso della faida in corso tra nonni e zii fosse una sorta di «guerra di religione».

QUALE L’INDIRIZZO RELIGIOSO PER EITAN?

I genitori di Eitan, di comune accordo, avevano immaginato per i loro due figli un futuro in terra di Israele nel rispetto della cultura e della religione ebraica. Nessuna forma di fanatismo integralista, ma una rigorosa fedeltà ai dettami della dottrina sefardita, professata da entrambi i nonni materni di Eitan, Shmuel e Etti Peleg. Gli stessi implicati nel rapimento. Potrebbe essere questo il movente che ha fatto scattare nella mente di questa coppia l’idea di portar via dall’Italia Eitan per condurlo a Tel Aviv. Un «movente» legato alla fede. Infatti la zia paterna, Aya Biran, cui il giudice aveva affidato la custodia di Eitan dopo la sciagura del 23 maggio, è una «Cattolica di tradizione ebraica». Un movimento d’ispirazione giudeo-cristiana formato da ebrei che si sono convertiti al cattolicesimo. Per questo Aya aveva deciso di iscrivere Eitan in una scuola gestita da suore Canossiane. Circostanza probabilmente intollerabile per i parenti antagonisti del «fronte materno Peleg».

IN BALLO C’È ANCHE IL RISARCIMENTO ECONOMICO PER IL BAMBINO

C’è comunque un’altra considerazione da fare. Chiaramente nessuno vuol pensar male, ma, di fatto, non si può ignorare che in questa storia c’è pure in ballo l’ingente risarcimento economico che toccherà a Eitan per i danni patiti nell’incidente della funivia. Chi gestirà questo patrimonio? Sicuramente che avrà il bambino. Intanto i legali del «ramo Biran», non tralasciando nulla, hanno attivato la Convenzione dell’Aja sulla sottrazione internazionale dei minori. Ma si prevedono tempi lunghi. Ed Eitan, il vero protagonista, seppure involontario di questa che rischia di diventare una “storiaccia”, attualmente è in Israele, che aspetta una soluzione che chissà quando arriverà… Ma, di sicuro, aspetta anche che qualcuno lo aiuti. Perché per come si sono messe le cose, ne ha davvero bisogno…