Dopo oltre due mesi di lockdown, trascorsi senza incassi e con la prospettiva di un futuro incerto, da lunedì l’esercito del commercio, dell’estetica e della ristorazione si è rimesso in moto. Non tutti hanno acceso i motori, perché una fetta di esercenti siciliani ha preferito rimandare l’apertura, non essendo ancora pronta ad affrontare le difficoltà del distanziamento sociale, o le spese per i dispositivi di protezione individuale e di igienizzazione e sanificazione dei locali. Comunque la stragrande maggioranza è partita, rimboccandosi le maniche e mettendosi alle spalle il lungo periodo di inattività.
Nell’area benessere, quella dei barbieri, parrucchieri e centri estetici l’avvio dell’attività è stata da sold-out. Hanno lavorato a pieno ritmo, ed il boom è proiettato anche nel futuro prossimo, perché le prenotazioni vanno oltre la settimana, ed anzi alcuni si sono già organizzati con app e sistemi on line per potere smaltire il flusso degli appuntamenti.
Si è registrato un buon trend anche nelle gelaterie e pasticcerie. In tanti hanno festeggiato la ritrovata “libertà” andando a ritrovare i gusti e quelle “coccole” che per mesi interi sono state una chimera. E nel ritorno alla normalità hanno avuto anche la gradita sorpresa di ritrovare gli stessi prezzi che avevano lasciato. Gli esercenti non hanno applicati rincari, nonostante le spese che hanno sostenuto per adeguarsi alle regole sanitarie ed adeguare i loro locali ai decreti governativi.
Nel settore della ristorazione invece i clienti sono arrivati con il contagocce, per i motivi che ha sottolineato il segretario regionale di Confartigianato, Andrea Di Vincenzo: «Alla risorazione è mancata, e chissà per quanto tempo mancherà, la fetta più grande, quei circa cinque, sei milioni di turisti stranieri che ogni anno, da maggio ad agosto, vanno in giro per la Sicilia, mentre l’altra gran parte di avventori, rappresentata dai lavoratori pubblici, è ancora in smart working dunque pranza o cena a casa». Con il risultato che una percentuale di ristoratori ha preferito aspettare: «Almeno il 20% di esercizi, fra trattorie, pizzerie e bar ─ ha precisato Di Vincenzo ─, soprattutto le imprese più grandi e strutturate, conti alla mano, tra spese per i dipendenti e costi necessari alla sanificazione, ha deciso di non rischiare e tener chiuse le saracinesche. In tanti, invece, sempre per motivi di bilancio, hanno preferito continuare con l’asporto o le consegne a domicilio, come succedeva prima del 18 maggio».