Venduti ai call center oltre un milione di dati personali di clienti Tim

La Procura di Roma ha scoperto e smantellato un sistema di hackeraggio e violazione dei dati personali e sensibili di oltre un milione di clienti Tim. Denunciate 20 persone

Grazie all’operazione “Data Room”, nata alcuni mesi fa da una denuncia di Tim e coordinata dalla Polizia postale e dalla Procura di Roma, è stato scoperto e smantellato un sistema di hackeraggio e violazione dei dati personali e sensibili di oltre un milione di clienti della compagnia telefonica. Una indagine della Procura di Roma ha scoperchiato un sistema che ha fornito ai proprietari di call center oltre un milione di dati sensibili e di numeri telefonici di clienti Tim, carpiti illegalmente dai database della compagnia telefonica. Un sistema che ha coinvolto anche impiegati infedeli, e che è diventato un lucroso business per fornire strumenti per procacciare nuovi clienti e spingerli a cambiare gestore.

VENTI MISURE CAUTELARI

Tredici persone sono finite ai domiciliari, e sette sono state raggiunte da obbligo di dimora, tra Roma e la Campania. È la prima volta che vengono applicate misure cautelari per reati di violazione della privacy. Le misure sono state emesse dal gip di Roma nei confronti anche di dipendenti infedeli della Tim che carpivano illecitamente dati sensibili di clienti. Ma sono coinvolti anche “intermediari” che si occupavano di gestire il commercio illecito delle informazioni estratte dalle banche dati, per fornirle ai titolari di call center telefonici. Si tratta di circa un milione e 200 mila dati carpiti all’anno. Questa è un’attività molto appetibile, perché  per ogni portabilità di un numero, permette di lucrare commissioni che arrivano fino a 400 euro per ogni contratto stipulato.

UN SISTEMA COLLAUDATO

Le estrazioni dei dati avvenivano spesso di notte, utilizzando appositi software, e permettevano di appropriarsi di centinaia di migliaia di informazioni al mese. Le società di vendita dei contratti da remoto puntavano ad intercettare la clientela più «vulnerabile», quella che lamentava problemi per disservizi, e quindi più propensa ad accettare il cambio dell’operatore. Dalle carte dell’indagine è emerso che un singolo dipendente infedele riusciva a guadagnare fino a settemila euro dalla commercializzazione di 70 mila dati sensibili carpiti illecitamente.

UNA COMUNICAZIONE DI TIM

La Tim in una nota ha scritto: «Grazie ai provvedimenti adottati si chiude una vicenda grave. La società ha subito proceduto adottando misure disciplinari nei confronti del personale coinvolto, e si costituirà parte civile nel processo».

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