Santa Rosalia, acchianata vietata e l’album dei ricordi
Vietata l’ascesa verso il Santuario di Monte Pellegrino. La tradizione deve inchinarsi alle norme anti Covid
E’ tutto sbarrato…..
In questo anno horribilis, al pari di Pasqua, Pasquetta, 25 Aprile, Primo Maggio e Festino, anche la tradizionale “Acchianata”in onore della Santuzza cade sotto i colpi dell’emergenza sanitaria e delle norme anti contagio.
Vietata l’ascesa al Monte Pellegrino, un must per i Palermitani devoti e no specie nella notte tra il 3 e il 4 e per tutto il mese di Settembre, la scalata al Santuario attraverso le rampe irte e ciottolate, una scarpinata con buone pendenze che unisce tutto il popolo della città in un atto di devozione tanto sentito quanto unico.
Questa volta non solo con ordinanza comunale e presidi di pattuglie, ma anche con sbarramenti e transenne,dell’accesso e dei sentieri principali, in relazione anche alla precaria situazione di alcuni costoni del monte pericolanti.
E proprio questa sorta di check point, questi steccati, divisori quasi coercitivi, fanno intristire e al contempo riaffiorare tanti ricordi, la genesi di una tradizione che in famiglia era sacra, una sorta di comandamento decimo bis:
Il 3 sera si fa l’Acchianata!
Già lo si sapeva da fine agosto e la nostra gioia di bambini era solleticata dall’incontro coi coetanei figli degli amici e tutto quello che ne conseguiva nel tragitto. E poi una volta arrivati su e ossequiato la Santa, ci sarebbe stato il canonico schiticchio, a base di pane e panelle sempre dal solito paninaro ambulante.
Il raduno in genere era “a scurata”, vespero o tramonto che dir si voglia.
Prima di partire gli adulti davano regole e raccomandazioni e stabilivano chi apriva e chiudeva il gruppo (il nostro in genere contava 4/5 famiglie, una ventina di persone).
L’apripista veniva munito di una sorta di vessillo, un bastone di scopa con un drappo rosso che sarebbe stato il nostro punto cardinale di riferimento, da non perdere mai di vista.
Mia madre acchianava senza scarpe, con le sole calze: dei calzettoni bianchi, mezzi tubolari che noi usavamo per giocare a calcio.Se li metteva in macchina non appena trovavamo il posto; era un rito: apriva lo sportello del nostro 128 rosso, si toglieva le scarpe e le calze e indossava i calzettoni con accortezza lenta e ossequiosa sussurrando qualcosa, come mettesse paramenti sacri per accingersi a dir messa, poi scendeva, si faceva il segno della croce: “Andiamo e mi raccomando….”.
Tra una corsa e una marachella e il susseguirsi dei sentieri nella mia mente rimanevano immortalate scene, come quadri, immagini, flash.
Le migliaia di persone in processione, chi a piedi scalzi, con ceri votivi di tutte le dimensioni, chi bardato di effigi della Santa chi con rosari di ogni sorta.
Canti e nenie accompagnavano il corteo di scalatori, con ritmo andante specie nella fase iniziale per poi scemare già alla seconda rampa quando qualcuno ansimante già chiedeva “ Ma quanto manca?…”.
Lo scenario panoramico di Palermo visto dalla natura rigogliosa del Pellegrino: mozzafiato, unico e impareggiabile.
E poi l’ultima “muntatiedda” ( piccolo strappo in salita nds), una sorta di gran premio della montagna, prima della discesa che schiudeva la sagoma del Santuario aperto dalla sua scalinata, fatica finale prima della visione della statua della Santuzza ornata di lettere, vessilli, collane, bracciali e ogni sorta di oggetto lasciato dai fedeli richiedenti o ricevuta una grazia, o per semplice devozione.
Rimanevo esterrefatto davanti ai cuori d’argento ex voto: il loro luccichio mi restava impresso nella mente per giorni.
Poi si passava davanti alla teca con Rosalia distesa nobilmente, col suo vestito color oro che contemplavi a bocca aperta.
Uscivi e l’aria era sempre fresca, il buio era arrivato e t’aspettava il panino e l’autobus in discesa.
Un cuore di bimbo gongola e si divertiva, ignaro di tradizione e memoria, che vede oggi.
Vito Discrede
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