Si è chiuso giovedì 5 marzo il dibattimento per la vicenda che, dopo la denuncia di alcune donne fatta nel 2021, aveva portato i carabinieri a indagare su festini a base di crack in cambio di sesso. I primi accertamenti erano stati avviati dopo che una donna, stanca di questa vita, si era rivolta ai carabinieri di Settimo, già nel periodo iniziale del Covid. Da lì è venuto fuori che studentesse, lavoratrici e madri insospettabili dopo essere entrate nel tunnel della tossicodipendenza, si prostituivano “a chiamata” in una casa di via Urbino, a Torino, e lì ricevevano la droga.
Come riportato da Repubblica, una testimone chiave, ex studentessa universitaria, parlando della sua dipendenza ha detto: “Studiavo psicologia e per pagarmi il crack mi prostituivo. Facevo uso di stupefacenti. Li assumo ancora. Il crack è così. Pensi solo a quello e ne vuoi sempre di più. Se mi dicevano fai quello, io per il crack facevo quello. Anche per 5 euro”. In aula ha ribadito: “Il crack purtroppo ti porta a volerne sempre di più. Dal tardo pomeriggio all’alba del giorno dopo riuscivo a incontrare finanche 40 clienti. Uno dopo l’altro. E tutto solo per il crack. I clienti chiamavano, venivano e avevano rapporti con tutte. Pagavano il crack e basta”.
Ieri si è concluso il filone dibattimentale di questo processo scaturito da una lunga indagine svolta dai carabinieri. Sul banco degli imputati c’erano i due presunti complici della trans Monique che gestiva la casa, già condannata lo scorso aprile in abbreviato a due anni e otto mesi di reclusione e 3mila euro di multa per sfruttamento della prostituzione. I due presunti complici sono stati entrambi assolti. Altri due spacciatori che rifornivano la casa avevano patteggiato, sempre ad aprile, pene a oltre un anno di reclusione. A uno erano state contestate oltre 108 cessioni di droga.