I benefici dell’allattamento sia per la mamma che per i propri figli sono documentati da una letteratura ampia. L’Organizzazione Mondiale della Sanità e l’UNICEF, raccomandano di allattare i propri figli in modo esclusivo fino ai 6 mesi di età. E se la mamma e i propri figli lo desiderano di continuare fino ai 2 anni e oltre introducendo gradualmente cibi complementari.
La situazione attuale in Italia e in Sicilia che vede la nostra isola all’ultimo posto per tasso di allattamento mostra un quadro allarmante di come il Codice internazionale sulla commercializzazione dei sostituti del latte materno (pubblicato nel 1981 dall’OMS) sia largamente irrispettato.
Alla dimissione dall’ospedale molte donne ricevono già la prescrizione della formula con marca. Una pratica contraria al Codice Internazionale. Per non parlare del condizionamento di mercato con le formule 1, 2 e 3 per accompagnare la crescita del bambino riconosciute di recente dalla FAO come alimenti ultra-processati. Un problema grave, dunque, per la salute e per l’ambiente favorito spesso dal Sistema Sanitario Nazionale.
Il Codice Internazionale si applica a tutti i latti artificiali sia in polvere che liquidi, le formule speciali, i cosiddetti “latti di proseguimento”, tutti i prodotti che possano in tutto o in parte sostituirsi al latte materno (come tisane, the, acqua minerale, preparati liofilizzati, omogeneizzati, creme, biscotti) quando presentati come adatti a bambini di età inferiore a 6 mesi, i biberon e le tettarelle.
Il Codice è stato adottato dall’OMS come requisito minimo per proteggere la salute infantile, con l’auspicio che venga messo in pratica integralmente. E tutti gli stati membri dell’OMS, avendo firmato il Codice, si sono anche impegnati a tradurlo in leggi nazionali. In Italia il monitoraggio del Codice è svolto da IBFAN Italia, organizzazione senza fini di lucro che produce un rapporto sulle violazioni registrate nel nostro Paese. Ogni Paese legifera per dare applicazione al Codice: ci sono Paesi che lo hanno recepito e attuato completamente, altri, come l’Italia, che lo applicano almeno in parte.
Il Codice non obbliga le mamme ad allattare e protegge anche i bambini che assumono sostituti del latte materno. Oggi, infatti, le madri possono decidere liberamente se e quanto allattare i propri figli, ma la scelta deve basarsi su informazioni corrette e aggiornate e non influenzate dall’industria con il suo marketing. Il Codice è nato per assicurare che la pubblicità di prodotti commerciali non possa competere con la promozione dell’allattamento, per garantire che tutti i genitori ricevano informazioni aggiornate, coerenti e indipendenti sull’alimentazione dei loro bambini.
Arriviamo al nodo “allattamento e lavoro” al centro della Settimana Mondiale dell’Allattamento 2023, con la Tavola rotonda del 25 ottobre “Allattamento, distribuzione dei ruoli e organizzazione del lavoro: quali equilibri nei rapporti di genere?” organizzata a Palermo dall’associazione L’Arte di Crescere in partnership con il Cesvop, presso lo Spazio Mediterraneo (sede di Legambiente Sicilia) dei Cantieri Culturali alla Zisa. Qui, viene presentato l’ultimo Rapporto della World Breastfeeding Trends Initiative (WBTI) elaborato da IBFAN Italia, che ci mostra come l’Italia, con un punteggio medio di 67 su 150 ed un valore di 6 punti in meno rispetto al 2018, sia indietro nell’allattamento all’interno della società e nei luoghi di lavoro con politiche, programmi e iniziative che non ne favoriscono e promuovono la pratica.
Da quanto emerge nell’indagine “Sistema di Sorveglianza 0-2 anni sui principali determinanti di salute del bambino”, relativa alla Sicilia, condotta dall’Istituto Superiore di Sanità nel 2022 e pubblicata a fine marzo 2023, nella nostra isola, il 40,6% dei bambini di 2-3 mesi non riceve latte materno. La percentuale dei bambini di 4-5 mesi che non riceve latte materno è del 56,5%.
L’alimentazione esclusiva con latte materno per la fascia di bambini di 2-3 mesi riguarda 3 bambini su 10 con un 29,6% e poco più di 1 bambino per la fascia di 4-5 mesi con un 13,5%. Il 27,0% dei bambini continua a ricevere latte materno a 12-15 mesi. Per quanto riguarda l’allattamento esclusivo per le fasce 2-3 mesi e 4-5 mesi, la Sicilia è nella posizione peggiore del valore medio rispetto all’Italia. Considerando il totale dei bambini di 2-5 mesi, solo il 22,7% risulta allattato in maniera esclusiva.
Un maggiore livello d’istruzione della madre e una buona condizione economica famigliare sono fattori determinanti per una più alta percentuale di allattamento esclusivo. Questo a discapito dei costi a cui fa fronte chi sceglie un nutrimento con formula artificiale. Dall’analisi emerge che l’allattamento esclusivo è meno frequente tra le mamme che non hanno mai partecipato ad un incontro di accompagnamento alla nascita.
La risposta della Regione Siciliana arriva al convegno del 25 ottobre sull’allattamento a Palermo da Maria Paola Ferro, dirigente DASOE dell’Assessorato regionale alla Salute attraverso il Decreto Assessoriale n°1084 del 28 settembre 2023 che istituisce un tavolo tecnico sulla promozione della salute materno infantile e riproduttiva nei primi mille giorni.
Divari salariali e precarietà contrattuale insieme penalizzano le giovani donne e creano un mercato del lavoro che poco favorisce la programmazione della genitorialità.
Tutte le categorie di lavoratori e lavoratrici godono attualmente del diritto a congedo obbligatorio di maternità e paternità come misura di sicurezza sociale in caso di nascita di un bambino o bambina, ma anche di adozione o custodia. Persistono però delle differenze tra le categorie di lavoratori e lavoratrici anche rispetto alle nuove tipologie contrattuali che non fanno altro che incrementare mancanza di equità e disuguaglianze. La protezione delle lavoratrici è garantita per le madri che sono assunte come dipendenti, non allo stesso modo per le donne che lavorano come lavoratrici autonome, libere professioniste e imprenditrici.
Non vi sono asili nido o aree per la spremitura e la conservazione del latte materno in ambienti di lavoro pubblici e privati o nelle università, con la rara eccezione di alcune strutture nonostante la Legge 448 del 28.12.2001 (Legge finanziaria del 2002) preveda un fondo a questo scopo su stime fornite dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (ex art. 70 – disposizioni relative agli asili nido). Questa Legge non è applicata perché le imprese pubbliche e private che potrebbero concorrere all’erogazione dei fondi sono poche (circa 20).
In questa direzione le soluzioni che vanno messe in atto investono un cambiamento culturale che coinvolga le famiglie, i bambini, le scuole e gli operatori sanitari. Degli investimenti economici a più livelli che tutelino la maternità: più asili nido pubblici rispetto ai privati tenendo conto dei costi a cui deve far fronte una famiglia, quindi la somministrazione del latte tirato spesso non concesso all’interno degli asili. Normative favorevoli di conciliazione del lavoro con lo smart working e il telelavoro, quindi dei congedi parentali più flessibili e remunerativi per entrambi i genitori.
N. (34 anni, mamma e studentessa universitaria)
“L’allattamento non è solo nutrimento fisico ma è amore e consolazione verso i propri figli. Il mio bambino è nato di 37 settimane”, racconta N. (34 anni). Il suo secondogenito ha 40 giorni. “Mio figlio è nato sottopeso di 2.4 Kg. All’ospedale mi hanno detto che dev’essere allattato più di quanto potrebbe aver bisogno. È un allattamento intensivo”, racconta la donna, che l’anno scorso ha iniziato un corso di laurea triennale a Palermo con alle spalle già un part-time lavorativo.
Da quando è nato il suo secondo figlio, la donna ha difficoltà a conciliare l’allattamento con la frequenza delle lezioni all’Università. “Pensavo che l’Università potesse aiutarmi, invece, dagli uffici del Rettorato non ricevo possibilità. Nessun riscontro fino ad ora nonostante le richieste. Diversamente dai professori che hanno manifestato più volte la volontà ad aiutarmi anche in Dad”. Non c’è una legge che tutela le donne che studiano e allattano. Nel 2023 se decidi di diventare madre non puoi studiare. Se decidi di diventare madre e vuoi allattare devi scegliere se studiare o allattare.
“Io mi porto il bambino all’Università. Lo lascio fuori con la nonna, vado ad allattare e ritorno a seguire le lezioni. Non ci sono pari opportunità per una donna, perché un padre che studia non ha le stesse responsabilità di una madre che studia. Una madre che allatta, soprattutto. Il latte artificiale è da escludere. Mi sono interfacciata con tanti medici e tutti mi hanno sempre detto che il mio latte è essenziale per mio figlio”.
E. (31 anni, mamma e lavoratrice)
E. è una mamma (31 anni) e una lavoratrice, che ogni giorno vive con ansia facendo le corse tra casa e lavoro per allattare sua figlia di 4 mesi. “Sono tornata al lavoro quando mia figlia aveva 3 mesi e 3 giorni di vita. Non sono servite le fatiche, le scorte ogni giorno col tiralatte, mettere i barattoli in freezer. Mia figlia non accettava il biberon con il mio latte. Le nonne spesso mi chiamano, perché mia figlia ha bisogno di me e non vuole mangiare. È successo che ho dovuto prendere i permessi da scuola, la mattina, dove lavoro come psicologa e psicoterapeuta con i ragazzi disabili, correre a casa, allattare mia figlia e tornare al lavoro. Mia figlia ha bisogno di me. E del mio latte. Non è gratificante, perché non riesco a vivere bene il lavoro, il pensiero costante è a lei. È triste vedere come si promuove il latte materno, poi le difficoltà nel lasciare a casa i bambini a tre mesi”.
E. è una mamma di due figli, il primo di 3 anni e 2 mesi. È rientrata a lavoro per esigenze economiche. Con un lavoro a scadenza a contratto, incinta della seconda figlia, ha scelto tra la fatica e le corse ogni per arrivare a lavoro o rimanere disoccupata. “Il resto della giornata lo passo con lei. Il pomeriggio, nella professione privata, anche lì faccio i salti mortali”. Organizzando le poppate e le ore di lavoro, lasciando la bimba al marito tra una poppata e l’altra. “Tra una seduta di psicoterapia e l’altra, mi dedico ad allattarla, mentre mio marito è in studio con lei. A tre mesi di età di mia figlia sono stata costretta a rientrare. Nessuna garanzia e diritto. Ho dovuto scegliere se fare così o rimanere disoccupata”.
Meltem Uldes è un’artista e docente di storia dell’arte. Di origini turche, ha vissuto a Instanbul e da sei anni vive a Palermo con i suoi figli e il marito. “Ho iniziato la carriera accademica dopo essere diventata madre perché avevo bisogno di sicurezza. È stato molto difficile per me garantirmi con l’arte. Cercare di creare un’arte unica e aspettarsi che porti profitto richiede potere economico. Così ho intrapreso una carriera accademica come storica dell’arte. In quel periodo ero combattuta tra l’essere una madre, un’accademica e un’artista. Lavoravo senza pausa per dimostrare quanto valessi cercando di dare il massimo. Mi sentivo costantemente in colpa per non passare tutto il mio tempo con mia figlia. D’altra parte, avevo anche bisogno di costruire la mia vita. Quando è nato mio figlio stavo facendo il dottorato, insegnavo per 24 ore all’Università, partecipavo a conferenze e allattavo. Ci sono stati molti anni in cui non ho dormito la notte. La cosa più difficile è stato il mio disagio non riconosciuto.
Ancora oggi in Turchia ci sono grandi difficoltà per le donne che lavorano nel mondo dell’arte. La madre è ancora considerata la principale responsabile della cura del bambino all’interno della famiglia. La pausa dopo essere diventata madre è vista una mancanza di produzione. Gallerie e collezionisti esitano a investire in artiste che diventano madri. Perché la percezione generale è che non possano continuare la loro carriera artistica dopo essere diventate madri. Inoltre, le donne artiste, che già si trovano in una situazione economica difficile sono combattute tra la maternità e un ulteriore lavoro. Poiché le artiste non hanno una sicurezza economica, l’arte è vista come un hobby soprattutto per le donne.
“È come se dovessimo scegliere tra la carriera e la maternità. Se scegliamo di essere madri, non dobbiamo aspettarci di progredire nella vita lavorativa. Dobbiamo quasi scusarci per essere incinte o madri”.
L’allattamento è un altro problema. “Ho allattato i miei figli per molto tempo. Quando il mio secondo figlio aveva 2 mesi ho ricominciato a lavorare all’Università, ma non c’era un posto dove poter tirare il latte. Per molto tempo, nei giorni in cui avevo lezione, mio marito lo portava a scuola e io lo allattavo in macchina. Ho inaugurato la mia prima mostra all’età di 21 anni e ricordo ancora quello che mi disse un collezionista: se non mi fossi sposata e non avessi avuto figli sarei diventata una grande artista”.