Franco Miceli sindaco e il rischio del “Sarà Frankstein”

Uno slogan elettorale, i suoi significati nascosti, il ruolo di Orlando e il pericoloso condizionamento delle varie anime del Pd

miceli

Trascorsa poco più di una settimana dal primo bagno di folla e dal lancio della sua campagna elettorale, proviamo a ragionare, lontano dall’eco delle curve, sulla candidatura di Miceli a sindaco di Palermo e sulla scelta di quel Sarò Franco che, non è un mistero, piace poco persino allo stesso candidato.

Per essere banale è banale, quasi quanto una barzelletta sui carabinieri di cui intuisci la fine già alla terza parola. In questo caso si fa meno fatica, le parole sono due. A dispetto del famoso detto, la pinsata non deve essere stata molto lunga, sembra una cosetta da buona la prima, di quelle che passa in assenza di alternative. Nessuno pubblicamente se ne attribuisce la paternità, e questo la dice lunga. Ma la banalità è peccato veniale rispetto al secondo e più velato significato di cui nessuno osa spiegarne i riflessi meno immediati. E c’è un validissimo motivo. Seguite il ragionamento.

Sarò Franco nel senso che sarà sincero? Ma dai, conoscete un candidato che può permettersi di onorare questa promessa? Super banale sarebbe, altro che banale. No, chi scrive propende per un’altra interpretazione. Sarò Franco nel senso che non sarò Leoluca, che è il rimando più pesante che l’ex presidente dell’Ordine degli architetti si porta sulle spalle, fardello incredibile sino a pochi anni fa quando alla corte dell’eterno sindacollando si strisciava pur di ottenere una benevola carezza.

Oggi Orlando, secondo qualche improvvisato genio del marketing politico, non è più un valore aggiunto. Primo errore: non rappresenta più quel portatore di consenso che ha consentito al centrosinistra di vincere qualche partita negli ultimi 30 anni, questo è sicuro. Ne è prova che mai è stata presa in considerazione la sua idea di scegliere il candidato attraverso le primarie e che il suo delfino, Fabio Giambrone, da anni capitan futuro, rievoca la storia di Al Gore, uno che la poltrona l’ha persa per una marachella (orale) del suo principale. Ma Orlando, nonostante tutto, possiede ancora un suo fascino elettorale che attraversa verticalmente le dissimili fasce sociali di Palermo.

Sarò Franco rappresenta quel messaggio subliminale che intenderebbe affrancare Miceli dall’eredità nefasta degli ultimi 5 anni di amministrazione. Come se Catania, assessorone di Orlando, non fosse il suo principale sponsor. Una discontinuità annunciata senza tanto riflettere sui suoi effetti primari. Non arriva al cuore e alla pancia dell’elettorato dell’altro campo che, pur disgregato, non voterà mai uno che il pulviscolo comunista non se l’è mai spolverato dalla giacchetta. E produce più di un giramento di scatole a Leoluca che, potremmo giurarci, non uscirà con la maglietta sudata a fine partita. Ritiene di poter vincere senza il suo apporto?

Miceli è una persona perbene e, mi consta personalmente, crede nel gioco di squadra. L’unico problema è che questa volta il capo squadra è lui e forse una parolina in più avrebbe dovuto spenderla a tutela del suo modo di essere, mai aggressivo e poco incline al trasformismo. Allo stato dell’arte, più che sarò Franco sarà Frankstein, un esperimento di laboratorio in cui dietro ogni sua ruga si intravede un solco di Giusto, una briciola di Peppino, un frammento di Antonello. Giochi Miceli la sua partita senza timore di fare un dribbling in più. Lasci negli spogliatoi il libro degli schemi e dimentichi i giochi di parole e i suoi correlati, buoni per sopravvivere qualche giorno su facebook. E soprattutto si tolga di dosso quella sensazione di essere capitato lì per caso. A 70 anni non ce ne saranno altre partite di questo livello. E nessuna partita è mai persa prima di cominciarla.