Strage di via D’Amelio, il pm : “Maurizio Avola impreciso e inattendibile”

L’esponente catanese di Cosa Nostra è stato intervistato da Michele Santoro nel corso di uno speciale sulla mafia

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L'attentato di via Mariano D'Amelio costò la vita a Paolo Borsellino e alla sua scorta

La ricostruzione della strage di via Mariano D’ Amelio secondo l’ex killer e collaboratore di giustizia Maurizio Avola non convince il Procuratore facente funzione di Caltanissetta Gabriele Paci.
La versione dell’ esponente di Cosa Nostra affiliato al clan di Nitto Santapaola è emersa nel corso di un’intervista di Michele Santoro per lo speciale intitolato “Mafia – La ricerca della verità” di Enrico Mentana , andato in onda su La 7.
Non attendibile e impreciso“: così il pm ha definito Maurizio Avola, chiamatosi per la prima volta in causa tra gli autori dell’attentato che costò la vita al giudice Paolo Borsellino e alla sua scorta, a pochi mesi di distanza della strage di Capaci .
Una stagione terribile, quella del 1992, che vide l’attacco senza precedenti di Cosa Nostra allo Stato.
Il Procuratore, che ha espresso perplessità e amarezza in merito ai contenuti dell’intervista, ha sottolineato come Maurizio Avola, invece di mantenere il silenzio su un’indagine ancora non conclusa, abbia invece scelto di raccontare il proprio ruolo sull’attentato che segnò la storia dell’Italia generando un moto di indignazione senza precedenti.

“L’ ULTIMO CHE HA VISTO LO SGUARDO DI PAOLO BORSELLINO”

Protagonista della stagione delle stragi, un “curriculum” che parla di ottanta omicidi, Maurizio Avola ha affermato di avere preso parte direttamente alla fase esecutiva dell’attentato mortale al giudice.
Con lui, Giuseppe Graviano, Matteo Messina Denaro e Aldo Ercolano.
“Noi eravamo già nell’appartamento, ci servivano dieci minuti – ha raccontato in merito agli ultimi istanti di vita di Paolo Borsellino – e io sono passato davanti con il borsone con scritto Polizia”.
“Una cosa normale – ha aggiunto – come se fossi un poliziotto, che venivo da un’altra città”.
“Sapevamo quale fosse la macchina del magistrato – ha ricordato – pensavo che la sua fosse quella al centro della scorta ma poi mi giro e vedo che la prima era proprio la sua”.
Secondo la ricostruzione, dunque, il giudice Paolo Borsellino era solo in macchina.
“L’obiettivo non erano i ragazzi della scorta – ha precisato – era lui”.
“Mi accendo la sigaretta – ha detto descrivendo la fase finale delle operazioni – lo guardo così, mi soffermo, mi rigiro e faccio il segnale”.

LA REAZIONE DI GABRIELE PACI

Tante sono le ombre in merito alla presenza del pentito catanese nella fase esecutiva.
Il Procuratore ha specificato che “la circostanza risulta in effetti essere stata riferita per la prima volta da Maurizio Avola nel corso di un interrogatorio”.
Interrogatorio svoltosi l’anno scorso a distanza di oltre venticinque anni dalla sua collaborazione con l’autorità giudiziaria.
E ha aggiunto che gli accertamenti disposti dalla Dda di Caltanissetta non hanno trovato, ad oggi, “alcuna forma di positivo riscontro”, anzi.
“Dalle indagini demandate alla Dia – specifica – sono emersi rilevanti elementi di segno contrario”.
Elementi che inducono a formulare dubbi “sulla spontaneità e la veridicità del racconto”.
Tra i tanti, la presenza di Maurizio Avola a Catania nella mattinata precedente la strage, con un braccio ingessato.
Mentre egli , giunto a Palermo nel pomeriggio del 17 luglio, avrebbe dovuto trovarsi in un appartamento nei pressi nel garage di via Pietro Villasevaglios.
Pronto, dietro ordini di Giuseppe Graviano, a imbottire con sessanta chilogrammi di esplosivo quella Fiat 126 che funse da autobomba.