Stragi di mafia: per Messina Denaro chiesta l’assoluzione “per non aver commesso i fatti”

«Non vi è prova che Messina denaro abbia fornito uomini o l’esplosivo utilizzato per il compimento delle stragi»

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Nell’udienza che vede l’ex superlatitante Matteo Messina Denaro imputato davanti la Corte d’assise d’appello di Caltanissetta come mandante delle stragi di Capaci e via D’Amelio, l’avvocato Adriana Vella, difensore d’ufficio del boss, ha concluso la sua arringa chiedendo l’«assoluzione dell’imputato, per non aver commesso i fatti». Nel processo di primo grado la sentenza era stata “ergastolo”. La stessa richiesta dal procuratore generale Antonino Patti quando  ha concluso la sua requisitoria nell’attuale processo d’appello.

Come ha annunciato la Presidente della Corte d’assise d”appello Maria Carmela Giannazzo, la sentenza di questo secondo processo   sarà emessa il prossimo 19 luglio. Nello stesso giorno in cui sarà ricordato il 31esimo anniversario della strage di via D’Amelio, in cui morirono Paolo Borsellino e la sua scorta.

«Non vi è prova che l’imputato abbia partecipato al compimento delle stragi»

La legale di Messina Denaro ha sostenuto «la mancanza anche solo di elementi indiziari gravi, precisi e concordanti in merito alla partecipazione dell’imputato in seno alle riunioni dell’approvazione del piano stragista». Inoltre ha anche sottolineato che «dalle motivazioni assunte in primo grado non è dato sapere nemmeno in cosa sarebbe consistito il concorso morale di Matteo Messina Denaro negli attentati di Capaci e via D’Amelio. Non vi è prova che l’imputato abbia fornito uomini per il compimento delle due stragi, né l’esplosivo utilizzato per il compimento delle stesse, né ancora supporto logistico sempre a tali fini».

L’avvocato Vella ha anche sottolineato che «la veste dell’imputato come reggente della provincia trapanese emersa nella sentenza di primo grado, è stata smentita emblematicamente dal contenuto delle intercettazioni effettuate nel carcere di Opera durante un colloquio tra Salvatore Riina e tale Lorusso, pregiudicato pugliese durante l’ora d’aria».

L’avvocato: «Il capo mandamento era il padre di Messina Denaro»

«Nelle parole di Riina – ha spiegato l’avvocato – è il padre dell’imputato che viene individuato come capo mandamento. E non capo provincia». Ricordando anche che durante quel colloquio “u curtu” ha mosso aspre critiche nei confronti di Matteo per le scelte strategiche fatte, ossia quello di dedicarsi ai profitti derivanti dal mercato dell’eolico. «Scelte ben lontane dalle logiche stragiste». Nella sua arringa il legale ha inoltre affermato: «Nella cosiddetta ‘missione romana’ per colpire personaggi di rilievo, quali Giovanni Falcone, il ministro Martelli, Maurizio Costanzo e Andrea Barbato, Matteo Messina Denaro recepì l’ordine impartiti da Totò Riina come un mero soldato».

«Infatti ─ ha aggiunto l’avvocato Vella ─, come emerge dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Vincenzo Sinacori, i soggetti convocati da Riina si limitarono a recepire l’ordine impartito dal capo di Cosa Nostra, ovvero quello di attuare propositi criminosi mai realizzati. Inoltre, la circostanza che l’imputato non conoscesse i successivi e nuovi sviluppi del piano decisi dai vertici di Cosa Nostra è resa evidente, fra l’altro, dall’invito fatto da Riina a tornare in Sicilia “perché qui abbiamo trovato cose più grosse”.