Tanti incendi sono creati dalla “industria del fuoco”: a chi giovano i roghi dolosi
Gli incendi creano lavoro, talvolta con la regia delle cosche. Dietro c’è anche il business degli aerei e degli elicotteri privati
La Sicilia è tra le regioni più colpite dai roghi estivi: già nel 2021 ce n’erano stati 8.133, con una media di 135 al giorno solo a luglio e agosto. In quell’anno l’isola ha potuto vantare il triste primato nazionale di avere la maggiore superficie coperta dal fuoco, ben 87.000 ettari. Oltre il 77% degli incendi verificatisi nel periodo compreso tra il 2010 e il 2020 è stato di natura dolosa. Sono i dati snocciolati in un articolo del Messaggero, dove inoltre è evidenziato che la Regione Siciliana nel piano sull’antincendio boschivo relativo al 2020 già parlava chiaramente dell’”industria del fuoco”, ossia delle fiamme appiccate volontariamente “per creare posti di lavoro, nelle attività di avvistamento, di estinzione e nelle attività successive di ricostituzione”.
Gli incendi strumenti per mantenere o motivare occasioni di impiego
Nel piano Aib della Sicilia si legge: “Il ricorso a mano d’opera precaria e poco qualificata, con una finalizzazione spesso più assistenziale che produttiva, ha talvolta indotto l’insorgenza di un ciclo vizioso, dove l’incendio volontario da parte di operai stagionali può costituire lo strumento per mantenere o motivare occasioni di impiego”. Rientrano in questa logica anche gli incendi appiccati come protesta contro la mancata assunzione o come estrema forma di dissenso contro la minacciata chiusura di cantieri, in cui “il bosco assume ruolo di ‘ostaggio’. Quindi si intuisce che dietro questi incendi che devastano boschi e campagne in Italia si nasconde una vera e propria ‘industria del fuoco’”.
Personaggi vili che, armati di un fiammifero, approfittano delle temperature torride che fanno propagare più velocemente le fiamme. L’obiettivo è fare affari dalle ceneri delle foreste, infischiandosene del fatto che gli alberi, assorbendo anidride carbonica e producendo ossigeno, sono gli unici nostri alleati per tamponare gli effetti del cambiamento climatico che noi stessi alimentiamo.
Cosa c’è dietro l'”industria del fuoco”
Ma c’è dell’altro dietro questa “industria del fuoco”. Tra le altre motivazioni che possono spingere ad appiccare i roghi c’è anche la volontà di eliminare i boschi per accaparrarsi terreni da coltivare o destinare al pascolo, in modo da intercettare i redditizi contributi comunitari, o la volontà di trasformare aree rurali in aree edificabili. È stato pure ipotizzato un collegamento tra i roghi e il business del fotovoltaico. Ci sono inoltre agricoltori che, per pulire il terreno in vista della semina, bruciano stoppie e cespugli, ma poi perdono il controllo delle fiamme.
Non finisce qui. La commissione Antimafia regionale, nell’ambito dell’indagine sui roghi in Sicilia del 2021, ascoltò Rosario Napoli, del ‘Servizio4’. Il dirigente disse: “Sicuramente c’è un business degli aerei perché purtroppo in Italia ci rivolgiamo agli operatori privati. Un’ora di elicottero costa 2.300 euro a base d’asta, ed un’ora di Canadair 4.600 euro”.
L’ombra della mafia
Gli incendi sono spesso legati anche al ciclo dei rifiuti, su cui le mafie nostrane allungano i loro tentacoli. C’è chi li stocca in siti abusivi (per lo più capannoni dismessi in campagna) e poi dà fuoco per poterli smaltire, generando roghi più estesi. Dall’operazione “Black fire” della Dda di Bari è emerso che tonnellate di rifiuti speciali di notte venivano trasportati in siti agricoli nei comuni di Foggia, San Severo, Apricena, Serracapriola, Poggio Imperiale, Carpino, e immediatamente dati alle fiamme. Ci sono inoltre incendi che divampano negli impianti di trattamento regolarmente autorizzati a causa di “condotte negligenti di sovra stoccaggio, miscelazione di rifiuti potenzialmente infiammabili, non corretto utilizzo di impiantistica di trattamento meccanico”. Chissà se, al termine dell’inchiesta della Procura, si accerterà che cause simili hanno generato l’incendio divampato lunedì scorso nei pressi della quarta vasca della discarica di Bellolampo, a Palermo.
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