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Teatro al Massimo, presentato lo spettacolo “Il Birraio di Preston” di Andrea Camilleri

Il Teatro “Al Massimo” di Palermo celebra il centenario della nascita del celebre scrittore siciliano Andrea Camilleri portando in scena “Il birraio di Preston”, che è stato presentato oggi, nel foyer del teatro, alla presenza del maestro Aldo Morgante, del regista, Giuseppe Dipasquale e degli attori, Edoardo Siravo, Federica De Benedittis, Mimmo Mignemi e di tutta la compagnia. Il debutto è previsto per il 21 febbraio e si replica fino al 1 marzo.

Il birraio di Preston tratto dal romanzo di Andrea Camilleri, pubblicato da Sellerio editore, con la riduzione teatrale di Andrea Camilleri -Giuseppe Dipasquale, regia di Giuseppe Dipasquale, scene di Antonio Fiorentino, i costumi sono ripresi da Stefania Cempini e Fabrizio Buttiglieri da un’idea di Gemma Spina, le musiche sono di Luigi Ricci.

In scena una compagnia eccellente di undici attori: Edoardo Siravo, Federica De Benedittis Mimmo Mignemi e con, (in o.a). Gabriella Casali, Pietro Casano, Luciano Fioretto, Federica Gurrieri, Paolo La Bruna, Giorgia Migliore, Valerio Santi, Vincenzo Volo. La produzione è di Teatro Al Massimo di Palermo, Marche Teatro (diretto da Giuseppe Dipasquale), Teatro di Roma.

“Siamo felici e orgogliosi – spiega il direttore artistico Alfo Morgante – di ospitare questa prima nazionale, in coproduzione con Marche Teatro e con il Teatro di Roma, per rendere omaggio e celebrare un grande scrittore siciliano come Andrea Camilleri in occasione del centenario dalla sua nascita”.

La prima è in programma venerdì 21 febbraio alle 21:15, si replica sabato 22, domenica 23, mercoledì 26, giovedì 27 alle 17:15 e ancora venerdì 28 e sabato 1 marzo alle 21:15.

Il regista Giuseppe Dipasquale dichiara – Come ormai sembra essere chiaro nello stile di Camilleri, il racconto parte da un fatto che vuole essere di per sé stupefacente, affabulatorio, misterioso e incantatore. Proprio come il “c’era una volta” dei bambini. E di un bambino si tratta: l’occhio innocente di un bimbo, per purezza nei confronti del mondo, per incontaminazione, per il suo essere “fanciullino” è il motore dell’azione. Ad esso è destinata, in apertura del romanzo, la scoperta dell’unica grande tragedia che incombe su Vigàta; le altre saranno come delle ipotragedie in questa contenute e da questa conseguenti. Ossia lo spaventoso incendio che nell’originale struttura narrativa costituisce l’inizio e al tempo stesso la conclusione del racconto.

“Il Birraio di Preston”, la trama

Ci troviamo in un piccolo paese siciliano, che nella topografia camilleriana è il solito Vigàta, durante la seconda metà dell’Ottocento. L’occasione è data dal fatto che è necessario inaugurare il nuovo teatro civico “Re d’Italia”. Il prefetto di Montelusa, paese distante qualche chilometro, ma odiato dagli abitanti di Vigàta perché più importante e perché sede della Prefettura, si intestardisce di inaugurare la stagione lirica del suddetto teatro con un’opera di Ricci. Nessuno vuole la rappresentazione di quel lavoro, tra l’altro realmente scadente.

Il Prefetto obbliga addirittura a dimettersi ben due consigli di amministrazione del teatro pur di far passare quella che lui considera una doverosa educazione dei vigatesi all’Arte, per seguirli paternamente nei primi passi verso il Sublime. Si arriva quasi a una guerra civile tra le due fazioni: da un lato i vigatesi che, con quel naturale e tutto siciliano senso di insofferenza verso tutto quello che sappia di “forestiero” (e il Prefetto Bortuzzi lo è!), decidono di boicottare l’ordine prefettizio; e dall’altra il prefetto Bortuzzi con Don Memè Ferraguto, al secolo Emanuele, cinquantino, sicco di giusto peso, noto uomo d’onore del luogo, sempre alleato al potere per atavica e pura convenienza. Da ciò si diparte una storia divertentissima e al tempo stesso tragica, che culmina nell’incendio del teatro.

Una narrazione interessante per il suo intreccio e intricata nello sviluppo specie quando compaiono sulla scena i dinamitardi che hanno il compito di dare al boicottaggio di quell’inaugurazione la fisionomia di un messaggio a livello nazionale: dovranno infatti far esplodere il teatro per convincere il governo che anche la Sicilia è allineata, contro lo Stato, a favore dei Carbonari. La turbolenta vicenda si incastra con quella del Delegato Puglisi e della sua amante, la cui sorella ha trovato atroce morte proprio in seguito all’incendio del teatro, della cantante Maddalena Paolazzi vittima una delle più clamorose “stecche” nella storia del bel canto, del Dottor Giammacurta, dell’avvocato Fiannaca, dell’ingegnere Hoffer e di tanti altri. La vicenda narrata è una vicenda esemplare per raccontare oggi la Sicilia.

L’eterna vacuità dell’azione siciliana, che spesso si traduce in un esasperato dispendio di energie per la futilità di un movente, è la metafora più evidente del testo. In un esempio sublime e divertito di narrazione dei caratteri, la Sicilia, il suo mondo, i suoi personaggi vengono ammantati, attraverso la lingua camilleriana, da una luce solare, vivida di colori e ricca di sfumature. Questa Sicilia che non dimentica i morti, non dimentica i mali letali che cercano di consumarla inesorabilmente dal di dentro, che non dimentica il tradimento verso valori appartenuti a se stessa quando era culla di una civiltà, questa Sicilia oggi può senza timore ricominciare a parlare di se stessa con la necessaria ironia e distacco, affinché l’autocompiacimento delle virtù come dei vizi e dei dolori, non costituisca lo stagno dal quale diviene difficile uscire.

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Redazione PL