The Good Doctor: dimostrare che l’inclusione non è utopia

Dopo l’ascesa di Grey’s Anatomy pensavamo che fosse difficile trovare un’altra serie medical così ben fatta, eppure ci sbagliavamo. In onda per la prima volta nel 2018, negli anni la serie The Good Doctor ci ha rapito il cuore. 

The Good Doctor: autismo e medicina

Certamente uno dei primi fattori che ha dato a questa serie tutto il suo successo è la bravura di Freddie Highmore, che dai tempi della Fabbrica di Cioccolato, 17 anni fa, ci ha dimostrato il suo talento innato. Ma la rivoluzione di questa serie non è soltanto nella sua bellezza a livello di recitazione o di trama: seguire la storia di un ragazzo affetto da autismo che riesce non solo ad arrivare al massimo delle sue potenzialità, ma a diventare una figura di spicco in ambito medico ed a raggiunge il proprio sogno professionale, significa seguire una serie che ci insegna cosa davvero vuol dire la parola inclusione. Significa imparare a guardare oltre il nostro naso, significa dare una possibilità a tutti, in maniera indistinta, senza sciocchi pregiudizi e preconcetti.

The Good Doctor e l’essenza dell’inclusione

La genialità di questa serie, insomma, è nel suo fondamento, che sradica pian piano dalla mente degli spettatori la convinzione che le disabilità siano un limite invalicabile. Più volte il personaggio principale, il dottor Shaun Murphy, ribadisce di essere consapevole della sua disabilità, ma spiega anche che essa non rappresenta tutta la sua identità, ma ne fa semplicemente parte. Questo semplice quanto complesso assunto è quello che dobbiamo sempre ricordare affinché la nostra società divenga a tutti gli effetti una società inclusiva, dove ogni condizione non è mai il punto d’arrivo, ma quello di partenza. 

 

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