Palermo nella top ten dello street food. Ma per babbel.com mangiamo arancini e i crocché…

Le gaffe del magazine internazionale che racconta le capitali europee del cibo da strada

C’è Palermo tra le dieci capitali europee dello street food. Lo rivela un’inchiesta del magazine di babbel.com, un portale internazionale che si occupa dell’apprendimento di lingue. Un vero paradosso per la storia che vi vogliamo raccontare. Sotto esame le tradizioni del cibo da strada analizzate in questo tour in dieci tappe che ci porta a scoprire il vero volto della cucina popolare d’Europa.

TRA WURSTEL E LANGOS

Con alcune forzature, ovviamente, fra cui quella di trascurare altre città italiane che avrebbero meritato di stare nella lista più di tante altre mete europee prescelte. Il viaggio parte da Berlino (è la sede dell’azienda editoriale) con i suoi immancabili wurstel al curry, prima di una fermata a Budapest per i langos (le frittelle di formaggio). E poi ancora Madrid, Lisbona, Sarajevo, Istambul, Bruxelles, Nizza. C’è persino La Valletta con una variante del panino al tonno. E infine Palermo.

LA CULTURA DEI MERCATI

All’inizio la sottolineatura che in questo tour virtuale dello street food non poteva mancare la città che meglio incarna – oseremmo dire nel mondo – la cultura del cibo povero da consumare per strada. Una filosofia quella di Palermo che affonda le sue radici nella cultura dei mercati popolari e nella contaminazione assicurata dalle dominazioni che si sono succedute in Sicilia. E fin qui tutti in piedi a battere le mani.

TRA STIGGHIOLE E PANELLE

Si parla di stigghiole e pani ca meusa come punte estreme, pietanze non a tutti accessibili e che rappresentano la vera identità di Palermo. Spazio alle panelle, com’è giusto che sia, che incarnano la facciata più soft del cibo da strada palermitano e incrociano i palati più semplici. E quando meno te l’aspetti, arriva lo scivolone, un doppio scivolone perché le parole hanno un senso e anche i dettagli possono rivelare l’ignoranza.

ERRORI E ORRORI

Primo errore da segnare in rosso: si dice le crocché e non i crocché come riportato nella scheda. E peraltro, se parli di pani ca meusa, puoi usare tranquillamente cazzilli e allora sì che serve declinare al maschile. Altrimenti le crocché sono femmine e femmine devono restare unnegghiè. E già che ci siamo non poteva mancare la questione di tutte le questioni. Accarne, abburro o come volete voi, ma a Palermo si chiamano arancine, femminissime sono, perché discendenti dalla forma dell’arancia.

AHI AHI, MONTALBANO…

Se parli di Palermo e dici arancini – come l’incauto redattore in questione ha osato fare – vuol dire che sei proprio un analfabeta funzionale in tema di cucina popolare, che non hai studiato neanche il minimo per aspirare ad una promozione con il 6 politico. Si dirà, vi è piaciuto Montalbano? E questo (forse) è il danno collaterale provocato da Camilleri. Ma non è che se Montalbano dice arancini, in quel contesto fantasioso che è il mondo di Vigata con annessi e connessi, significa che l’ignoranza è sdoganata.

Signori di Babbel e di tutto il mondo, una volta per tutte: a casa nostra si chiamano arancine. E con Montalbano, poi, ce la vediamo noi…