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Tradizione, sperimentazione e materie prime locali: il fine dining in Sicilia ha uno chef ‘Carusu’

Tradizione, innovazione, ricerca e sperimentazione. Sono gli ingredienti della cucina di Alen Mangione, giovane chef originario di Raffadali che nel 2023 ha dato vita, con l’insostituibile supporto della sua famiglia, al Carusu restaurant, l’unico ristorante fine dining di Agrigento.

Un’idea nata dopo tanta gavetta e una formazione di alto livello, ma anche da un periodo difficile come quello della pandemia. “L’idea era quella di dar vita a qualcosa di nuovo qui ad Agrigento – racconta lo chef a Palermo Live -. La mia famiglia a Raffadali aveva in gestione un enorme ristorante-pizzeria e dopo dieci anni abbiamo deciso di lasciare il certo per l’incerto e dare vita a un nuovo progetto”.

La gavetta e la pandemia

Dopo il diploma all’alberghiero ad Agrigento, Alen Mangione, classe 1998, si è diplomato all’ALMA – Scuola Internazionale di Cucina Italiana e ha conseguito collaborazioni di alto profilo: è approdato al ristorante Da Vittorio, tre stelle Michelin della famiglia Cerea a Brusaporto, nelle cucine di Ciccio Sultano e poi al Villa Athena, ad Agrigento, con lo chef Nino Ferreri del ristorante una stella Michelin LIMU di Bagheria.

Poi la pandemia e la necessità di aiutare i genitori nel ristorante di famiglia. “Per due anni sono rimasto lì continuando a coltivare la mia conoscenza sui lievitati e la pasticceria – racconta lo chef Alen Mangione -. Nel momento della pandemia ho approfittato del tanto tempo libero che avevo a disposizione, ho preso le redini della cucina del ristorante di famiglia e poi abbiamo deciso di chiuderlo e avviare questo nuovo progetto al Carusu“.

Carusu restaurant

Un nome che “ha un significato indelebile – spiega lo chef -: essendo molto giovane, in tutte le brigate ero sempre u carusu, il più piccolo. Questo nome un po’ mi appartiene, così ho voluto darlo a questo nuovo progetto”. Un ristorante con nove tavoli per un totale di 24 coperti, che si affaccia sul quartiere Ellenistico Romano, immerso nella valle dei templi di Agrigento: molto diverso dall’attività di famiglia, dunque, ma sempre animato da quel filo rosso che è la gestione familiare. “Mio padre si occupa dell’accoglienza e della parte burocratica – spiega Mangione – mio fratello è responsabile di sala e sommelier, io sono lo chef e mi occupo di tutta la brigata di cucina. In totale siamo in dieci: abbiamo sette collaboratori che sono parte fondamentale del nostro progetto, collaborano con noi dall’inizio e siamo una famiglia”.

Tradizione, sperimentazione, materie prime

Un’esperienza ricercata che continua ad arricchirsi di proposte sempre nuove. “Dalla scorsa primavera abbiamo introdotto i piatti vegetali – spiega lo chef Mangione -. Amo definirli così perché non mi piace dire che facciamo l”opzione vegetariana’. Ho deciso di valorizzare al meglio, come se fosse una proteina animale, il vegetale, utilizzando varie tecniche, consistenze e procedimenti per esaltarlo il più possibile. Dalla scorsa primavera dunque il nostro menù è cambiato: abbiamo una parte vegetale, una di pesce e una di carne”.

Punto di partenza sono sempre la tradizione e i prodotti locali. “La tradizione non va mai dimenticata, è alla base di tutto; a me piace tantissimo conoscere la cucina della storia della Sicilia per poi riproporla secondo la mia visione innovativa ma anche con varie sfumature e contaminazioni dalla cucina francese, in base a ciò che ho imparato negli anni. Amo tantissimo valorizzare i prodotti siciliani, soprattutto quelli che si stanno perdendo. In più abbiamo il nostro orto, la nostra farm, quindi riusciamo a produrre una bella quantità di prodotti e ortaggi che usiamo al ristorante”.

Carusu restaurant può contare, infatti, su una materia prima d’eccellenza prodotta nell’orto che serve il ristorante. Un’idea nata dalla mancanza di prodotti, spiega lo chef Mangione: “Avevo difficolta a trovare determinati ortaggi o verdure qui ad Agrigento, come ad esempio la melanzana perlina, e quindi ho deciso di piantarla. È nato tutto un po’ per gioco – racconta – ma adesso riusciamo a soddisfare buona parte del nostro fabbisogno qui al ristorante. Produciamo anche il nostro olio: abbiamo un uliveto con circa 350-400 alberi e produciamo per la cucina ma anche una selezione, figlia di un attento studio, di una cultivar di oliva che facciamo assaggiare ai nostri clienti con del pane caldo”.

Il primo fine dining ad Agrigento

Una giovane eccellenza del nostro territorio, una promessa della cucina che rappresenta anche un esempio virtuoso per chi vuole crescere e fare impresa in Sicilia. “Ci vuole coraggio a rimanere qui da noi, non è facile – ammette lo chef Mangione -. Se ho fatto questo passo è perché ho avuto la mia famiglia alle spalle, mi danno un grande aiuto. Inoltre, trattandosi del primo fine dining ad Agrigento, abbiamo dovuto non solo farci conoscere ma anche educare la clientela, che non era abituata al genere. Posso dire che a distanza di due anni, stiamo avendo un riscontro molto positivo sia con la clientela locale che turistica ma anche con quella dai paesi limitrofi. A differenza di due anni fa vediamo i nostri clienti che prenotano, ci lasciano carta bianca, fanno il percorso, invece all’inizio guardavano il menù, provavano qualche piatto… adesso hanno piena fiducia in noi. Significa che stiamo lavorando bene”.

La ricerca continua si riflette anche sulle variegate proposte che vengono via via inserite in menù. “Cambiamo il menu quattro volte l’anno, con le stagioni – spiega Mangione – fermo restando che col cambiamento climatico riusciamo ad avere il prodotto anche ‘fuori stagione’. Ad esempio, ricordo che lo scorso anno abbiamo avuto la melanzana fino a metà/fine ottobre. Questo ovviamente non per via di trattamenti particolari ma perché il clima è ormai cambiato. Riusciamo così ad avere il prodotto di buona qualità, secondo i parametri che noi vogliamo per il ristorante, anche oltre il periodo ‘canonico’”.

Una delle ultime iniziative che ha coinvolto il Carusu restaurant è stata, dunque, l’anticipazione del nuovo menù a Casa Diodoros mediante un percorso che comprendeva quattro portate, dall’antipasto al dolce. Un evento aperto a una ristretta cerchia di partecipanti, volto ancora alla valorizzazione del territorio e delle sue eccellenze.

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Gina Lo Piparo