Trent’anni fa “capitan Ultimo” arrestò Totò Riina: un successo con tanti misteri

L’arresto di Riina si portò dietro una scia di misteri. Il covo non fu sorvegliato, e quando fu perquisito era già stato svuotato

Sono passati trent’anni da quel 15 gennaio del 1993, un venerdì,  quando i carabinieri intercettarono l’auto del boss corleonese Totò Riina, appena uscita dal residence di via Bernini in cui viveva da tempo con la famiglia. E misero le mani sul superlatitante che era riuscito a sfuggire alla cattura per 24 anni.  Riina era seduto sul sedile del passeggero di una Citroen Zx grigia, guidata da Salvatore Biondino. Mancava poco alle 8,30 e l’auto fu bloccata in via Regione Siciliana, quando aveva appena superato il motel Agip. Sergio Di Caprio, il capitano “Ultimo”, aprì lo sportello e disse: «Riina, lei è catturato per mano dei carabinieri». Del boss, fino ad allora, esisteva soltanto una vecchia foto in bianco e nero, ma a parlare per lui c’erano  omicidi e stragi.

Tanti misteri dopo l’arresto

Con l’arresto del capo indiscusso di Cosa Nostra,  mandante dei più efferati crimini legati alla criminalità organizzata in Sicilia, lo Stato aveva messo a segno uno dei colpi più duri nei confronti di Cosa nostra. Da allora, la lotta alla mafia non è più stata la stessa e si è tracciata un’altra strada, quella della legalità. Ma, allora,  non tutto è andato per il verso giusto. Ancora oggi sono rimasti irrisolti tanti interrogativi su quanto accaduto in quei giorni. Si è saputo che i carabinieri del Ros, i reparti speciali dell’Arma, appena cinque ore dopo l’arresto del capo dei capi abbandonarono la sorveglianza del covo dove lui abitava con la moglie Ninetta Bagarella e i loro quattro figli. E che per diciannove giorni nessuno perquisì quel rifugio.

Quando il nuovo procuratore capo della repubblica di Palermo Gian Carlo Caselli, il 2 febbraio, entrò in quella casa, trovò un covo vuoto: era stato ripulito. C’è stato poi un processo che, su questi argomenti, ha visto sul banco degli imputati il colonnello Mario Mori e Sergio De Caprio. Ma sono stati assolti anche in Cassazione «perché il fatto non costituisce reato».

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