Palermo, 30 ore al pronto soccorso digiuna: l’odissea a Villa Sofia

Il racconto della dottoressa Sara Ansaldi a Palermo Live. Una storia che vuol fare da cassa di risonanza per segnalare le difficoltà di “un pronto soccorso raccapricciante”

medico

Trenta ore in barella in attesa di essere visitata. Digiuna e infreddolita, senza una coperta. E’ l’odissea vissuta, e raccontata a Palermo Live, da una ginecologa palermitana, Sara Ansaldi, al pronto soccorso dell’ospedale Villa Sofia.

La dottoressa si reca al nosocomio, martedì scorso, per un dolore sciatico acuto che la paralizzava da tre giorni. “Sono arrivata in ospedale in codice verde. Essendo medico mi sono automedicata, facendo cortisone e analgesico a forti dosi per riuscire a salire sulla barella dell’autoambulanza che mi ha condotto a Villa Sofia. Arrivo quindi al pronto soccorso con un dolore moderato, sedato dai farmaci che avevo assunto. Al triage mi hanno fatto una prima visita informativa e mi viene assegnato il codice verde”. Lo racconta Sara Ansaldi a Palermo Live.

“Dopo 30 ore di codice verde, digiuna e disidratata, ho chiamato un’amica che lavora nella struttura. Mi assegnano il codice bianco così da avere un altro percorso. Nel frattempo tutti gli altri pazienti in codice verde erano andati via dopo ore estenuanti di attesa. Finalmente, vengo visitata da una neurochirurga. La dottoressa, professionista molto competente, mi comunica che ci sono tutti gli elementi per un intervento chirurgico urgente. Quindi da bianco, divento codice rosso. Da medico e in quelle condizioni, rifiuto il ricovero e, sempre per vie traverse, chiedo e ottengo di fare la terapia del dolore. Lì un altro mondo. Un reparto pulitissimo e sistemato. Vorrei destinare alla chirurgia l’ultima chance”.

Sempre al pronto soccorso, “tra arresti cardiaci, codici rossi, vecchi disorientati che piangono, giovani incidentati che urlano, decidono di farmi una tac, da cui si vede che non sono in emergenza”. La ginecologa prosegue il suo racconto: “Così il secondo neurochirurgo mi prescrive una risonanza magnetica, che ho già fatto, e consiglia terapia domiciliare. Alle 18, chiedo se posso avere un pasto, e mi dicono che non sono nell’ elenco. Una pastina al dado e un bollito omeopatico mi rendono felice. Non ho diritto all’acqua la sera e non ho modo di fare entrare qualcuno o raggiungere il distributore. Quindi il brodo annacquato fa a pennello. Nessuno dopo due giorni ha pensato che con un’ernia, meriterei una terapia medica e un antidolorifico. Nessuno si parla, dà consegne, sa di chi parla”.

Dopo essere tornata a casa e un ciclo di terapia del dolore, alla dottoressa programmano l’intervento chirurgico con urgenza, per lunedì 6 dicembre. Sara Ansaldi ha voluto fare da cassa di risonanza per segnalare le difficoltà di “un pronto soccorso raccapricciante. I bagni sono sporchi. Nessuno che ti segua e che ti dia assistenza. Non è né pronto né un soccorso. Sembra una tenda a Kabul. Io per 30 ore non ho avuto né una coperta né un lenzuolo. Nessuno che mi abbia dato una medicina per il dolore”.

Intervista di Marco Apprendi

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