A Palermo mafia e buttafuori a braccetto: le rivelazioni del nuovo pentito

Dai verbali del nuovo collaboratore di giustizia, viene fuori uno spaccato del mondo della mafia che era interessato ai buttafuori

Il nuovo pentito di mafia Alfredo Geraci, quello che ha fatto le nuove rivelazioni sul peso che ha avuto Messina Denaro nel progetto per l’attentato al pm Nino Di Matteo, nelle sue esternazioni ai pm Giorgia Spiri e Gaspare Spedale ha parlato anche di vicende riguardanti l’influenza della mafia nell’ambiente dei buttafuori. Dell’attenzione, delle infiltrazioni e del controllo di Cosa nostra sui locali notturni attraverso gli addetti alla sicurezza.

GERACI PUNTA IL DITO

Il collaboratore di giustizia sostiene che Andrea Catalano, uno dei dodici imputati del processo sul presunto giro di buttafuori abusivi e della vigilanza nei locali controllata da Cosa nostra legati all’inchiesta “Octopus”, ha avuto direttamente dal boss di Ballarò Alessandro D’Ambrogio l’incarico di scegliere, coordinare, e imporre i buttafuori. E ha raccontato: «Nel 2012 avevo un locale ai Candelai che si chiamava Don Chisciotte. Lì era pieno di locali perché la movida di quel periodo era ai Candelai e c’erano dei buttafuori nei vari locali, ma c’erano sempre delle liti».

L’ACCORDO CON ALESSANDRO D’AMBROGIO

«Un giorno ─ continua ─ vidi Andrea Catalano avvicinarsi ad Alessandro D’Ambrogio nella carnezzeria di Ballarò, a piazza Carmine, e gli chiese se lui potesse lavorare ai Candelai, nelle zone in cui lui era, tra virgolette, “il padrone”. Cioè Candelai, Vucciria, via Venezia e piazza Magione. Alessandro gli ha detto: ‘Vai, vai, vedi se hanno bisogno di buttafuori, eventualmente ci parliamo noi’. E così è iniziata l’ascesa dei buttafuori».

«CATALANO ERA UN MORTO DI FAME E SI È ARRICCHITO»

«Con la vigilanza nei locali c’era un enorme giro di soldi ─ sostiene Geraci ─. E Andrea Catalano, che prima era un morto di fame, si è arricchito. Ha la collezione di Rolex ─ racconta ─ e si è comprato l’ultimo tipo di Mercedes. Gli ho detto: “Tuttu bonu e biniritto, ti sei fatto bene, e noi stiamo puzzando di fame”.» Il pentito afferma inoltre che Catalano faceva la cresta sui compensi. Otteneva tra 80 e 100 euro per ognuno che piazzava, ma agli addetti dava la metà. E aggiunge: «Lui si imponeva nei locali, e appena gli dicevano di no mandava il figlio o il nipote, e faceva scoppiare risse. Poi andava a dire che con lui queste cose non succedevano».

HA TENTATO IL SUICIDIO

A marzo Catalano ha tentato il suicidio mentre era nel carcere di Secondigliano. Alfredo Geraci dice la sua anche su questo episodio: «Eravamo convinti che si facesse collaboratore. Il suicidio era una messinscena: lo diceva il figlio, serviva per farsi dare i domiciliari». Ma non ha raggiunto il suo obbiettivo, perché è ancora in cella.