Troppi stranieri, troppe squadre che affollano le serie minori, poca attenzione ai settori giovanili, un sistema calcio da rifondare in toto. Queste alcune delle cose che si sono lette e sentite dopo la cocente sconfitta dell’Italia contro la Macedonia del Nord. Stesse parole che, nostro malgrado, sono risuonate in seguito al precedente fallimento della nazionale Giampiero Ventura. Tuttavia quel giorno, il 13 novembre del 2017, Italia-Svezia si giocò a San Siro, tradizionalmente per tutti “la Scala del calcio”. Forse per questo a nessuno, allora, venne in mente di ergere ad emblema del fallimento sportivo italiano le condizioni fatiscenti di uno o più stadi o impianti di casa nostra.
Differente, pare, la situazione oggi, quando Palermo, ancora “presa dalla botta” di giovedì sera, si trova a leggere, sulle autorevoli pagine del Corriere della Sera, che la “sintesi plastica, tremenda e oggettiva, di quanto siamo inguaiati” è il Renzo Barbera di Palermo. «Uno stadio preistorico per gli standard europei, pietrificato ai Mondiali di Italia 90 (come, del resto, molti altri impianti) – scrive Fabrizio Roncone -. E quindi fatiscente. Con mura marce. Pozzanghere di melma giallastra. Balaustre rugginose. Gradoni insicuri. Fili elettrici penzolanti. Bagni infetti: un water per mezza tribuna, la porta scassata, lo sciacquone scassato, e donne e uomini avvolti nei tricolori dentro la stessa, mortificante fila.
Roncone, nella sua “analisi” dello stadio Renzo Barbera, si sofferma anche su altri aspetti. C’è «una specie di bar – si legge nel pezzo del Corriere -. Cannoli serviti a mani nude, l’incasso in nero, una cassetta colma di banconote, una tipa sfacciata: “Qui di scontrini non ne facciamo. Lo vuole o no, il caffè?”»
E ancora: «La sala stampa ha pareti con la carta strappata, tanfo di chiuso, neon ingrigiti, steward che fumano, un vigile urbano che mangia il suo trancio di sfincione, mascherine abbassate, bottigliette rovesciate, sedie sbilenche come nemmeno in una sala giochi di Bogotà. Questo è lo stadio della quinta città italiana. Questo è il nostro calcio. E allora no, non ce li meritiamo nemmeno stavolta i Mondiali . La nostra idea di pallone è vecchia, malata, in agonia.»
Per quanto ciò che si legge sul Corriere della Sera possa corrispondere al vero, seppur appaia quantomeno enfatizzato, la chiave di lettura punisce Palermo forse oltre ogni oltre evidente realtà. Roncone parla del Barbera, ironicamente, come “luogo designato dalla Federcalcio per l’indimenticabile spareggio”, iniziando poi ad enumerare tutta una serie di “mostruosità” medioevali viste all’interno dello stadio. Nell’articolo, tuttavia, non si fa alcun riferimento al motivo reale per cui la Federazione, e in primis il tecnico Roberto Mancini, ha scelto Palermo per l’incontro con la Macedonia.
Ciò che serviva realmente alla nazionale, in un momento così delicato, era infatti il supporto di un pubblico caloroso e appassionato. Un pubblico troppo poco elogiato, nei giorni seguenti alla gara, o addirittura mai citato, come nel caso dell’articolo in questione, causa risultato finale. Un pubblico che ora, dopo avere liquidato in tempo record tutti i biglietti disponibili, ed avere seguito e sostenuto per 95 minuti la causa azzurra, trova il loro stadio sollevato ad “emblema” di un’idea di pallone vecchia e malata. Un altro duro colpo, il secondo in pochi giorni.
Rimane inoltre da capire, a livello generale, perché tali carenze del Barbera, che come si afferma “è fermo ai mondiali del ’90”, non siano state evidenziate in seguito ai tredici precedenti successi della nazionale nel capoluogo siciliano, prima di giovedì definito invece “fortino azzurro”. Ricordando peraltro che, anche se non vuole essere una giustificazione, Palermo è lontana da diversi anni dal grande calcio, in cui militano invece squadre di città con 90.000 abitanti, ed impianti appena sufficienti a disputare la massima categoria.
Infine, ma non per importanza, evasione fiscale, inciviltà e succulenti spuntini in servizio. Elementi che con le carenze strutturali dello stadio non c’entrano nulla, ma quando si parla di Palermo, in un modo o nell’altro, si devono fare entrare. Ciò che di certo si è visto, invece, è una Palermo in prima fila, che ha tifato, ha sperato, ha creduto di potere fare da apripista all’approdo ai Mondiali. E che forse oggi, troppo banalmente, diventa emblema di qualcosa che, forse, poco le appartiene. Pare facile ipotizzare, piuttosto, che se l’Italia avesse fatto il suo dovere contro la 67esima del ranking europeo, oggi sarebbe il Barbera “la Scala del calcio”. E tutti i palermitani belli, alti, biondi e con gli occhi azzurri.