“Fibre di piombo”, viaggio tra rughe e ferite con un pizzico di ironia

La pittrice Tiziana Viola Massa e la scrittrice Giovanna Fileccia protagoniste di un accostamento che va oltre i colori e i versi

Una mostra che racconta la nozione di resilienza attraverso poesie e immagini

Neppure il Covid 19 ferma l’arte.

Anzi, in alcuni casi, la cultura si adopera per trasformare in una preziosa opportunità i limiti e le restrizioni imposte dall’emergenza sanitaria. È il caso della pittrice Tiziana Viola Massa e della poetessa e scrittrice Giovanna Fileccia che, mercoledì 23 dicembre alle 17:00 si ritroveranno insieme in occasione della mostra “Fibre di piombo“. Un evento pittorico e letterario che vede protagoniste le opere di Tiziana e le poesie di Giovanna, all’insegna di un accostamento che si colloca ben oltre i colori e i versi poetici.

Un viaggio tra rughe, ferite e cocci incollati e un pizzico d’ironia, all’insegna della convinzione che resilienza significhi anche e soprattutto non arrendersi ed essere in grado di ricostruire.

Nella piena convinzione che l’imperfezione porti con sé bellezza e valori.

Un modo per raccontare la capacità, spesso declinata al femminile, di accogliere il dolore rendendolo un punto di forza e per portare avanti ciascuna la propria arte, la propria vita, nonostante le batoste.

Incluso, ovviamente, il Covid 19.

Sarà possibile visionare il catalogo della mostra, on line, dal 23 dicembre sul sul sito\blog “Io e il Tutto che mi attornia” all’indirizzo web https://giovannafileccia.wordpress.com/ .

Il link dell’evento è https://fb.me/e/12ymhTRUB.

La mostra sarà proposta in presenza quando la situazione pandemica lo consentirà.

LE PAROLE DI GIOVANNA FILECCIA

Nell’introduzione in catalogo dal titolo “Oro su di noi” Giovanna Fileccia scrive: “Le rughe sono curve armoniose ricche di angoli bui dove si depositano gli attimi vissuti. Esiste un belletto che si stende sul viso e voilà la ragnatela che percorre le guance, la fronte, le tempie, il mento, si distende, si uniforma. Ma cosa c’entra questo? direte voi. C’entra con il nostro rapportarci con gli altri, nasconderci, camuffare le nostre lacrime. C’entra con il voler ricercare, rincorrere la bellezza esteriore, e c’entra con il perseguire l’ideale immaginifico di ciò che io chiamo patinatura della perfezione. (…) Ogni ferita dell’animo che fosse riempita d’oro porterebbe in sé l’accoglienza del dolore: punto di forza e non di debolezza. Dunque, non più raccogliere i cocci della propria esistenza, incollarli alla bell’è meglio e nasconderli agli sguardi degli altri, e magari anche a se stessi; ma, invece, farsi conca del dolore, incollare i cocci con strati di fibre di piombo lucido, e impreziosire le crepe dell’anima con strati di oro giallo e di oro rosso.(…)