Dopo 17 anni di lavoro precario, la cronista giudiziaria Sandra Figliuolo dovrà essere rentegrata nell’organigramma del Giornale di Sicilia dal quale era stata licenziata. Lo ha deciso il tribunale del Lavoro, in via cautelare, riconoscendo la natura subordinata del rapporto sin dal 2009 e giudicando illegittimo l’atto con cui fu mandata via.
Il giudice Matilde Campo con un’ordinanza ha infatti condannato l’editore del quotidiano alla reintegrazione della giornalista nel posto di lavoro e al pagamento di un’indennità risarcitoria pari all’ultima retribuzione dalla data del licenziamento, avvenuto il 21 maggio 2020, oltre al pagamento dei contributi previdenziali e assistenziali e a quello delle spese di lite, quantificate in circa 4 mila euro.
Il tribunale ha accolto in via cautelare il ricorso dell’avvocato Teresa Sciortino, che assiste la cronista. La decisione è importante in quanto la giornalista non era mai stata assunta a tempo indeterminato dall’azienda palermitana, ma era stata invece inquadrata – sin dal 2003 – come collaboratrice coordinata e continuativa e per numerosi intervalli come redattrice ex art.1 a tempo determinato.
Il giudice, chiamato a valutare la sussistenza del licenziamento, ha dovuto quindi prima accertare l’eventuale natura subordinata del rapporto di lavoro. Cosa che ha ravvisato, ritenendo di dover inquadrare la cronista come “collaboratrice fissa” (ex art.2): “Il ricorso è fondato – scrive infatti – avendo l’attività istruttoria ampiamente dimostrato che la lunga collaborazione intercorsa tra le parti, già a decorrere dal 2009, si sia sostanzialmente atteggiata nei termini di un rapporto di lavoro subordinato” e “che essa si sia interrotta per un atto di estromissione da parte dell’azienda”.
“Ritiene il tribunale – si legge ancora nell’ordinanza – che il quadro probatorio comprovi senza ombra di dubbio, oltre che la indubbia continuità della prestazione della ricorrente a favore del Giornale di Sicilia, anche la specifica assunzione della responsabilità del servizio reso, intesa come preventiva e concordata finalizzazione ed assicurazione della propria prestazione a soddisfare le esigenze informative dello specifico settore affidatole, e pure il vincolo di dipendenza, e cioè la stabile disposizione a favore dell’editore anche nell’intervallo tra una prestazione e l’altra, non potendosi certamente dubitare, all’esito del giudizio, che la ricorrente abbia assicurato nel corso di oltre dieci anni costante disponibilità e reperibilità rispetto alle esigenze di ricerca delle notizie in modo da garantire alla redazione un costante flusso di notizie di attualità e che il giornale contasse a sua volta per il perseguimento dei propri obiettivi editoriali su tale disponibilità della ricorrente anche nell’intervallo tra una prestazione e l’altra, che abbia perciò provveduto in modo strutturale ad organizzare la prestazione”.
Un indice della dipendenza, inoltre, per il giudice emergerebbe proprio dall’atto con cui la giornalista era stata allontanata: “La stessa circostanza, del resto, che il giornale si sia risolto ad interrompere la collaborazione professionale con la ricorrente allorquando ella ha cominciato a collaborare con un’altra testata palesa in maniera evidente la relativa convinzione ch’esso confidasse sulla disponibilità, peraltro addirittura esclusiva, della ricorrente e non pensasse affatto di doverla contrattare volta per volta senza ‘vincolo al riguardo’”.
Il Giornale di Sicilia, difeso dagli avvocati Lorenzo Maria Dentici e Luigi Maini Lo Casto, ha invece negato categoricamente che il rapporto di lavoro con la giornalista fosse di natura subordinata. A sostegno di questa tesi, tra l’altro, ha messo in evidenza altre collaborazioni che la cronista avrebbe avuto sin dal 2009 con altre testate giornalistiche. Ma è stato anche segnalato un corso organizzato dalla Cgil nell’ambito della Scuola del popolo, in cui Figliuolo avrebbe dovuto gratuitamente e volontariamente – se ci fossero state adesioni da parte dei cittadini – spiegare i meccanismi della professione. Un corso bloccato dal lockdown di marzo 2020 e che di fatto non si è però mai tenuto.
Il giudice ha ritenuto che le altre attività svolte dalla giornalista fossero del tutto “accessorie al lavoro svolto per il Giornale di Sicilia” e che comunque “la figura del collaboratore fisso non è di per sé incompatibile con un’attività giornalistica svolta contemporaneamente anche per altre testate”.
Inoltre, “risulta pure comprovato che l’interruzione del rapporto tra la ricorrente e la resistente nel maggio del 2020 scaturisce dalla sola determinazione della seconda, ciò che – non essendosi pacificamente adottati all’epoca i necessari requisiti formali dell’atto di risoluzione – impone la qualificazione dell’estromissione della ricorrente dalla compagine aziendale nei termini di un licenziamento orale, consentendole di accedere al sistema sanzionatorio predisposto dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori”.
Il tribunale ha quindi dichiarato “l’inefficacia del licenziamento comminato alla ricorrente il 21 maggio 2020” e condannato l’azienda editoriale a reintegrare la giornalista. E’ pendente un altro giudizio, nato sempre dal ricorso della cronista che, prima di essere licenziata, aveva chiesto al giudice del Lavoro l’accertamento della natura subordinata del rapporto intercorso con il Giornale di Sicilia sin dal 2003.