E’ allarme rosso in India, dove il sistema sanitario è sull’orlo del collasso. A causare danni non previsti dal Governo nazionale è la seconda ondata di Covid-19. Oggi sono stati registrati 295 mila nuovi casi e oltre 2 mila decessi: un record. Oltre alla capitale Nuova Delhi, in tante altrre metropoli non vi sono più letti disponibili e le terapie intensive risultano complete da giorni.
Drammatica anche la situazione sul fronte cliniche private, con interminabili file di ambulanze, autorickshaw e veicoli privati. Gli amalati respirano grazie alle bombolette d’ossigeno e sperano di essere ammessi in corsia. Le televisioni sono invase da immagini dei crematori, dove gli addetti non riescono a smaltire l’eccesso di cadaveri, con i familiari che attendono anche giorni per assistere ai riti funebri dei loro cari. Molti cronisti suggeriscono che le vittime dell’epidemia siano molto più numerose di quelle ufficialmente registrate: “In tanti casi”, osservano, “gli ammalati non raggiungono gli ospedali e muoiono in casa”.
Sul fronte riserve di ossigeno è addirittura guerra tra gli stati interni indiani. Ci si contende le stesse ormai in progressivo esaurimento. L’amministrazione di Delhi ha chiesto al governo centrale di aumentare la quota stabilita dalla legge; lo stato del Maharashtra lamenta che le 1.250 tonnellate metriche prodotte localmente al giorno non bastano, e chiede che almeno altre 300 arrivino dagli stati confinanti.
Affari d’oro per il mercato nero dei due farmaci Remdesivir e Tocilizumab, suggeriti dal ministro della Salute indiano per trattare gli ammalati, e dei quali è vietata l’esportazione: le agenzie riferiscono dell’arresto di Rachit Ghai, spacciatore di Noida, città satellite di Delhi, che vendeva una fiala di Remdesivir dalle 15mila alle 40mila rupie, 600 euro; un ciclo completo ne prevede almeno sei.