Claudio Zarcone scrive una letterina di Babbo Natale al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte per esprimere il suo dolore per la mancanza del figlio Norman, il dottorando in Filosofia dell’università di Palermo, che a 27 anni si suicidò lanciandosi dai locali della facoltà in viale delle Scienze dopo aver saputo che, dopo tre anni di dottorato di ricerca senza borsa di studio svolti con ottimi risultati, per lui non c’era alcuna possibilità di futuro nel mondo accademico.
Oggi il padre Claudio ha inviato a PalermoLive la letterina commovente che ha scritto al premier, con tanto di immagine di Norman ancora neonato.
“Carissimo Presidente Conte, sono un “bambino” di sessantacinque anni e torno a riscriverle per l’ennesima volta, sperando in un suo cortese cenno di risposta. Almeno stavolta”.
“Lei conosce la storia di Norman Zarcone? Be’, se non la conosce deleghi il suo ufficio stampa a cercare notizie, da parte mia le ho già raccontato tutto a più riprese. A settembre, in una delle mie innumerevoli missive, le avevo lanciato un guanto di sfida: venga a Palermo, incontri i giovani, gli amici di Norman, i tanti che si sono stretti attorno al suo nome e al suo gesto lacerante. Venga a Palermo – le avevo chiesto – e affrontiamo un discorso equilibrato col Primo cittadino, il Presidente della Regione e l’assessore all’Istruzione”.
“Ma lei forse, Presidente, non mi ha considerato abbastanza “bambino” per potermi rispondere. Eppure le garantisco che sono molto “bambino”, lo creda in apertura di credito. Da quando è morto mio figlio ho ripreso ad aver paura del buio, ho paura di restare da solo, parlo con gli angeli e credo in Babbo Natale. Già. Spero che un giorno Babbo Natale mi porti sotto un albero natalizio ideale (perché da dieci anni non lo addobbo più) quella giustizia fin qui negata, quella verità sottaciuta, – si legge nella letterina – quell’ammissione di colpa da parte delle istituzioni nella gestione di un fenomeno dalla triste nomea: le baronie universitarie”.
“Da dieci anni il Natale per me è un inferno; da dieci anni è la luce riflessa della morte e della solitudine; da dieci anni, il Natale, è una lama di ghiaccio che si conficca nelle mie carni; un bisturi chirurgico che fa a lacerti le mie viscere in una surreale autopsia mentre sono ancora in vita. Una vita meramente biologica, è chiaro, perché la mia vita affettiva, spirituale, sociale si è spenta quel 13 settembre del 2010″.
“Vede quel bambino che dorme nella foto? È mio figlio Norman. Il mio sangue. Il corpo che non potrò più amare, abbracciare. Il corpo che per codardia non ho avuto la forza di riconoscere nei suoi troppi brandelli. Il regalo che non potrò più fare a Natale. Presidente, so già che il mio Babbo Natale non verrà. So già che il lasciapassare internazionale a lui non verrà concesso. Egli, il mio Babbo Natale, rimarrà in lockdown perché, come tuonava opportunamente Giordano Bruno, “è un’ingenuità chiedere al potere di riformare il potere”. Buon Natale Presidente, ma si ricordi: ci vuole più coraggio per sopravvivere a certe tragedie, che per addobbare un albero di Natale…”