Biltz stamane dei Carabinieri del Ros con 23 fermi. Tra gli indagati sei capimafia, tre capi della Stidda, un ispettore, un assistente capo della polizia e un avvocato. Sotto inchiesta, inoltre, ci sono due agenti penitenziari. L’indagine colpisce i clan di Agrigento e Trapani, i fermati devono rispondere delle accuse di mafia, estorsione e favoreggiamento aggravato. Le indagini sono state condotte dalla Dia di Palermo
Per due anni i summit dei capimafia avvenivano nello studio di un avvocato di Canicatti, Angela Porcello. Quest’ultima, compagna di un mafioso, aveva il ruolo di consigliera, suggeritrice e ispiratrice di diverse attività dei clan. A ritrovarsi nello studio dell’avvocato erano i capi dei mandamenti di Canicattì, della famiglia di Ravanusa, Favara e Licata, un ex fedelissimo del boss Bernardo Provenzano di Villabate e il nuovo capo della Stidda. Le indagini dei Carabinieri con le intercettazioni hanno permesso di ricostruire le attività e gli assetti dei mafiosi.
Il super latitante Matteo Messina Denaro per il clan agrigentino avrebbe avuto il ruolo di capo supremo. I boss si sarebbero, infatti, rivolti a lui per chiedere l’investitura o la revoca di un boss da un incarico di vertice. La comunicazione con il boss di Castelvetrano avveniva attraverso un “pizzino”.
Nel mandamento di Canicattì la Stidda è tornata a riorganizzarsi grazie a due ergastolani; in particolare, Antonio Gallea ergastolano accusato dell’omicidio del giudice Rosario Livatino. avrebbe sfruttato premi di semilibertà nel 2015 per tornare a operare sul territorio di Agrigento. Tra i suoi piani c’era, anche, quello di uccidere un imprenditore.
In carcere tre importanti capimafia di Agrigento, Trapani e Gela sarebbero riusciti a dialogare a distanza; questo grazie alla complicità di alcuni agenti mentre l’avvocato Porcello aiutava il boss Giuseppe Falsone e altri due capi capimafia di Trapani e Gela.