Luana Cammalleri e Pietro Ferrara restano in cella. Il tribunale del Riesame ha rigettato infatti la richiesta di annullamento dell’ordinanza che il 18 marzo aveva portato in carcere Luana e Pietro, accusati di aver ucciso e soppresso il cadavere di Carlo Domenico La Duca, rispettivamente marito e migliore amico dei due. Per il Riesame, i due sarebbero dunque coinvolti.
“Il ricorso è stato respinto”. Queste le parole dell’avvocato Giovanni Marchese, difensore della moglie e dell’amico che avrebbero ucciso Carlo La Duca il 31 gennaio 2019, rilasciate a PalermoLive.it. “Le motivazioni non sono ancora state depositate. Probabilmente il riesame condivide il punto di vista della Procura, ovvero che gli indizi sono per loro gravi, precisi e concordanti. Prendiamo atto della decisione ed andiamo avanti nel nostro lavoro. Chiaramente adesso inizieremo a mettere in atto una linea difensiva. Non ho ancora visto la mia assistita, non appena la vedrò le comunicherò l’esito del riesame”.
Queste le parole dell’avvocato della famiglia La Duca, Salvatore Pirrone, non presente quest’oggi in aula, rilasciate a PalermoLive.it. “Le motivazioni non le sappiamo ancora. Mi aspettavo che l’impianto accusatorio della Procura resistesse dinanzi al tribunale di riesame. Non ci stupisce e non ci sorprende: è proprio quello che ci aspettavamo. Aspettiamo adesso che inizi il processo e che si concludano le indagini. Ritengo giusto che sia stata confermata la misura. Esprimiamo soddisfazione, anche se di soddisfazione c’è ben poco per la famiglia. C’è un ulteriore dramma: più si va avanti e più emergono particolari che dispiacciono. Mi aspetto che emerga la verità e che venga ritrovato il corpo di Carlo La Duca. I fatti per cui sono arrestati i due accusati, oggi indagati, mi sembrano in via indiziaria ma provati. Gli indizi sono davvero tanti e tutti concordanti. Aspettiamo l’inizio del processo per mettere la parola fine a questa terribile vicenda”.
I due dopo avere pianificato l’omicidio, avrebbero attirato la vittima a Palermo nel terreno di proprietà dell’amico fraterno ed amante della moglie e lo avrebbero ucciso. Poi avrebbero portato la sua autovettura a circa 12 chilometri di distanza dal luogo del delitto per depistare le indagini. Le acquisizioni investigative hanno anche permesso di demolire gli alibi che i due avevano creato nel corso del tempo per tentare di allontanare l’attenzione degli inquirenti.