La Corte Costituzionale ha giudicato ammissibili cinque dei sei quesiti referendari sulla giustizia promossi da Lega e Partito radicale. Hanno avuto il via libera quello che abroga la legge Severino sui condannati in Parlamento; quello che abolisce la raccolta delle firme per presentare la candidatura al Csm; quello per la separazione delle funzioni dei magistrati; quello sui limiti all’applicazione delle misure cautelari e quello sul diritto di voto degli avvocati nei consigli giudiziari. Invece è stato bocciato il quesito sulla responsabilità diretta dei magistrati.
Il perché della mancata ammissione lo ha spiegato Giuliano Amato, presidente della Corte Costituzionale: «La regola è sempre stata quella della responsabilità indiretta ─ ha spiegato in conferenza stampa ─. L’introduzione della responsabilità diretta avrebbe reso il referendum, più che abrogativo, innovativo». Per quanto riguarda le altre proposte nella giustizia che hanno avuto il via libera, nel comunicato dell’ufficio stampa della Corte si legge che «non rientrano in nessuna delle ipotesi per le quali l’ordinamento costituzionale esclude il ricorso all’istituto referendario».
Il quesito abroga il decreto legislativo del 2012, quello voluto da Paola Severino, ministra della Giustizia nel governo Monti. In esso è prevista l’incandidabilità e la decadenza dalle cariche elettive per chi è condannato in via definitiva a una pena superiore ai due anni di carcere. Per gli amministratori locali, invece, basta anche una condanna in primo grado per una serie di reati contro la pubblica amministrazione per essere sospesi dalla carica per un periodo massimo di 18 mesi.
Il quesito abolisce l’ipotesi del rischio di reiterazione di reati “della stessa specie di quello per cui si procede”. Questa è la più usata dai giudici, che così possono disporre così la misura cautelare della custodia in carcere nel corso delle indagini. Se passasse, diventerebbe impossibile ricorrere al carcere in mancanza di una delle altre due esigenze al momento previste dalla legge: il pericolo di inquinamento delle prove o il pericolo di fuga, che sono molto più difficili da dimostrare.
In questo caso viene proposto il quesito di fare scegliere al magistrato, all’inizio della carriera, le sue funzioni: se giudice o pubblico ministero. Funzioni che dovrà mantenere per tutta la sua vita professionale.
I consigli giudiziari sono i riferimenti locali del Consiglio superiore della magistratura: emettono i pareri che palazzo dei Marescialli è obbligato a prendere in considerazione per decidere sugli avanzamenti di carriera dei magistrati. Al momento gli organi sono composti per un terzo da rappresentanti dell’avvocatura e dell’Università, ma senza diritto di voto sulle valutazioni professionali.
Uno dei quesiti refendari ritenuti ammissibili dalla Consulta riguarda il Consiglio superiore della magistratura. Attualmente per candidarsi a diventare membro del Csm occorre raccogliere almeno 25 firme a sostegno del magistrato che intende presentarsi. Il quesito approvato dalla Corte costituzionale riguarda l’eliminazione della soglia minima di firme, abolendo così in modo definitivo il necessario appoggio di terzi per l’elezione a membro.
Queste valutazioni di ammissibilità dovranno ora essere supportate da sentenze specifiche relative a ciascuno dei cinque quesiti. Nelle sentenze dovranno essere resi noti nel dettaglio tutti i motivi che hanno portato la Consulta all’approvazione. A quel punto ne verrà data comunicazione d’ufficio al presidente della Repubblica e ai presidenti di Camera e Senato. Dopodiché su deliberazione del Consiglio dei ministri sarà lo stesso Capo dello Stato a indire con decreto il referendum. Per legge la convocazione degli elettori dovrà essere inserita nell’arco di date che va dal 15 aprile al 15 di giugno. Scelto il giorno in cui la popolazione potrà recarsi alle urne comincerà la campagna persuasiva per portare gli elettori a votare numerosi. L’esito dei quesiti proposti nel referendum sarà valido solo se verrà raggiunto un quorum del 50% più uno degli aventi diritto al voto.