Un elenco lunghissimo quello delle vittime di viale della Regione Siciliana. Impossibile elencarle tutte, impossibile conoscerne il numero esatto. Una mattanza, una scia di sangue che non tende ad arrestarsi e che ha visto spegnersi sull’asfalto il 10 marzo la signora Rosalia Osman di 49 anni. La questione della sicurezza della superstrada che di fatto divide la città in due parti nasce moltissimi anni fa ed ancora oggi non trova soluzione e sembrerebbe non suscitare neppure il reale interesse dell’amministrazione comunale.
Si muore sulla strada che ormai è detta “della morte” in tutti i modi possibili: in auto, in moto, a bordo di mezzi di lavoro, a piedi. Già a piedi… Perché se è vero che quando ci si mette alla guida di un mezzo il rischio, seppur minino, deve comunque essere calcolato, quando sei un pedone cambia tutto. Pedoni che cercano di attraversare per andare a casa dalla propria famiglia, dai genitori oppure dai figli; che cercano di arrivare presso il luogo di lavoro, un supermercato o un qualsiasi luogo impossibile da raggiungere se non attraversando ben quattro carreggiate.
Quando muore un pedone investito da un’auto, due sono le affermazioni più ricorrenti di chi commenta la notizia: “Un pedone che attraversa da lì a quell’ora?” e “Chissà a quanto andava l’auto per non riuscire a fermarsi in tempo”.
In realtà, percorrendo viale Regione in lungo e in largo, ci si accorge ben presto che attraversarlo è praticamente impossibile. I sottopassi sono impraticabili da decine di anni ed i sovrappassi? Questione di fortuna! Sì, perché trovare gli ascensori funzionanti che possano permettere anche ad una persona anziana o invalida di passare dall’altro lato della città è davvero raro. Il limite di velocità che va dai 30 ai 70 km orari non è mai rispettato da nessuno se non in prossimità degli autovelox ed i controlli sono praticamente inesistenti.
Poi rimane la questione dell’attraversamento di via Perpignano. Tredici vittime. Tra le prime la ventenne Sonia Conigliaro, che morì nel 1995 il primo settembre, quest’anno saranno 28 gli anni della sua assenza; l’ultima Agostino Cardovino, nel giugno del 2020, che di anni doveva ancora compierne 17.
Circostanze diverse che hanno in comune la mancata sicurezza della “strada della morte”. La morte di Cardovino (specifico che è vero che ha attraversato con il rosso, ma è altrettanto vero che la perizia ha stabilito che il pulsante di prenotazione del semaforo non era funzionante) ha fatto molto rumore sia per la giovane età della vittima sia per la modalità dell’incidente. La famiglia del ragazzo aveva iniziato una battaglia privata, girando gli uffici comunali ed incontrando diverse figure politiche, per provare a mettere in sicurezza questo attraversamento, ricevendo solo false promesse e retoriche parole di comprensione. Le chiacchiere sono sotto gli occhi di tutti: dopo quasi tre anni dalla morte di Agostino nulla è cambiato, neppure l’illuminazione è mai stata ripristinata.
Quando nel gennaio del 2011 morì il 65enne Gioacchino Caruso, alla famiglia qualcuno disse che non si poteva fermare l’espansione della città per una vittima. La percentuale era troppo bassa per prendere dei seri provvedimenti. Adesso di pedoni morti sull’asfalto viale della Regione ne conta 14, non calcolando tutte le altre morti avvenute in auto o in moto. Buche, radici che alzano l’asfalto, buio fitto. Quanto conta il cittadino per chi governa la città? Quanti morti ancora bisogna vedere prima di attuare un piano sicurezza? Sogni infranti, progetti spezzati, desideri ancora da esaudire, rimasti lì, sotto un freddo lenzuolo bianco; ne rimane solo una grande, scura chiazza di sangue.
Adesso però dovrebbe essere arrivato il momento di agire oppure di far conoscere a noi tutti il numero esatto delle vittime che ancora servono all’amministrazione per intervenire seriamente sulla sicurezza della “strada della morte”.