Per i bambini, e più in generale per i minori, che per diversi motivi si trovano a vivere in un contesto familiare disagiato, talvolta si ricorre, previe opportune valutazioni da parte di esperti, all’affidamento familiare. Soluzione che offre al minore la possibilità di crescere in un ambiente più consono al suo regolare sviluppo, ma al contempo fornisce la possibilità ai genitori reali di risolvere con più calma le problematiche che hanno portato a questa doverosa, seppur dolorosa, soluzione. Tuttavia le difficoltà relazionali legate ai due anni di pandemia Covid appena trascorsi hanno modificato inevitabilmente anche gli scenari legati all’affidamento familiare. Abbiamo sentito sul tema l’avvocato Lena, socio A.F.A.P., (Associazione Famiglie Affidatarie Palermo).
“Diversamente dall’adozione, che comporta l’instaurarsi di un legame filiale definitivo ed esclusivo – premette Lena – l’affidamento familiare consiste nell’inserimento del minore in una famiglia diversa da quella di origine. Che ad essa, tuttavia, non si sostituisce ma si affianca, costituendo così una misura provvisoria. In Italia questo istituto è regolato dalla Legge 149/2001, in cui si afferma appunto il diritto del minore ad essere educato e a crescere nella propria famiglia. E in mancanza di essa, di poter usufruire delle cure di una famiglia altra, che si propone come intervento di supporto e di accompagnamento alla famiglia di origine. Avendo tale istituto come obiettivo finale il rientro del minore nel contesto della famiglia naturale.
L’affidamento familiare è un grande atto di amore e solidarietà – prosegue -. Le famiglie affidatarie certamente si ritrovano a vivere una esperienza forte ed unica sicuramente di crescita. Possono diventare genitori affidatari famiglie con o senza figli, coppie coniugate, conviventi o persone single.
L’affido viene disposto dai servizi sociali, quando sono d’accordo i genitori biologici del bambino – spiega il legale -che si rendono conto di trovarsi in un momento di difficoltà e di avere quindi bisogno di aiuto. Se necessario, viene anche sentito il minore, se ha compiuto i 12 anni di età o se, pur essendo più piccolo, ha comunque capacità di valutazione. Il provvedimento di affido emesso dai servizi sociali viene quindi reso esecutivo con decreto del giudice tutelare. Quest’ultimo è un magistrato il cui compito è quello di occuparsi di varie situazioni che riguardano i minori. Diversamente, quando non vi è il consenso dei genitori biologici, è il tribunale per i minorenni a deciderlo. Nel provvedimento di affido è indicata la durata presumibile di quest’ultimo; inoltre, sono anche stabilite le modalità mediante le quali la famiglia d’origine del bambino può mantenere i rapporti con quest’ultimo.
“In Italia il percorso dell’affido purtroppo è ancora conosciuto da pochi, anche se praticabile da tutti – afferma l’avvocato Lena -. L’unico requisito richiesto è la consapevolezza della scelta maturata, anche grazie alla partecipazione ad un percorso formativo sull’affido, che la coppia o il single deve fare presso servizi sociali territoriali di riferimento. L’istituto giuridico dell’affido nel nostro Paese non riesce ancora ad affermarsi come prassi positiva sul territorio forse proprio per il carattere temporaneo dell’istituto, forse per la paura di affezionarsi e di dover lasciare. O forse perchè spesso non si entra nell’ottica dell’interesse del minore, della consapevolezza che i figli, sia di ‘pancia che di cuore’, non ci appartengono ma hanno bisogno di noi per potersi affermare e crescere sereni.
L’ affido familiare è regolato dalla legge 184 del 1983 – prosegue -. È necessario però puntualizzare che il diritto del minore a crescere in famiglia non è un diritto esigibile. In quanto la realizzazione degli interventi (aiuti alle famiglie d’origine, affidamento, ecc.) è condizionata dalla disponibilità delle risorse dello Stato, delle Regioni e degli Enti locali. Pertanto occorre che le Istituzioni si attivino, con la formulazione di regolamenti interni, affinché siano stanziate le necessarie risorse finanziarie, normative ed organizzative, che mirino alla crescita di un istituto, spesso poco considerato e mal compreso.
“È importante sottolineare il grande lavoro che i Servizi Sociali e le Associazioni svolgono nella promozione, nell’informazione e soprattutto nella formazione – evidenzia il socio A.F.A.P – per tutti quei soggetti che desiderano affacciarsi a questa realtà, a questo particolare modo di essere genitori. E mi permetto di nominare l’AFAP, Associazione famiglie Affidatarie di Palermo, di cui faccio parte, che svolge, ed ancor più ha svolto nel periodo della pandemia, un fondamentale lavoro di sensibilizzazione, di supporto e sostegno alle famiglie affidatarie, creando una rete di auto-aiuto per gli affidatari, per tutelare i diritti dei bambini affidati e delle persone che se ne fanno carico.
Allo stesso modo anche i Servizi Sociali hanno dovuto fare i conti con la paralisi, o quanto meno debilitazione delle loro attività – prosegue -. E, seppur con mille difficoltà hanno rimodulato e riorganizzato i tempi e le modalità che permettono l’avvio di un progetto di affido. La tecnologia non ha tolto qualcosa, come si temeva, ma al contrario ha aggiunto, rendendo più celere l’iter burocratico. Allo stesso modo per le famiglie affidatarie è stato possibile, grazie all’AFAP, un sostegno costante. Attraverso una rete di supporto e confronto sono stati creati dei salotti virtuali. Incontri da remoto, dedicati alla formazione e sensibilizzazione alla cultura dell’affido familiare, ma validi anche come rete di sostegno e solidarietà per le famiglie già affidatarie.
“L’inizio di un progetto di affido avviene in maniera graduale – sottolinea l’avvocato – .Gli assistenti sociali, dopo aver individuato la possibile famiglia (o single) che rispecchia le caratteristiche idonee per un determinato minore, procedono a programmare degli incontri con lo stesso, inizialmente di breve durata, per monitorare la serenità del bambino con la nuova famiglia affidataria. In realtà, nell’affidamento familiare, la volontà del minore ha un ruolo fondamentale affinché l’affido vada a buon fine.
È chiaro che nei primi periodi i bambini si mostrano comunque ostili e diffidenti con la famiglia affidataria – prosegue -. E proprio per questo i primi incontri avvengono in presenza di assistenti sociali. Inoltre questi ultimi rimangono sempre a sostegno e aiuto anche in una fase successiva, per qualsiasi difficoltà. Può anche capitare che il bambino non riesca ad inserirsi nel nuovo contesto familiare. In ogni caso l’assistente sociale di riferimento ascolterà ogni sua emozione nel corso del suo affidamento, al fine di assicurare allo stesso serenità e stabilità.
“Occorre rilanciare a tutti i livelli, istituzionali e non, la promozione dell’affidamento familiare – conlude l’avvocato Lena -. Per dar voce a tutti quei bambini che sono stati un po’ più sfortunati di altri, perché segnati da profondi traumi. E che non chiedono altro che avere un punto di riferimento, una famiglia in cui poter sviluppare le loro capacità. E che mentre ricevono amore e cura da noi riescono a dare altrettanto amore, riempire ed arricchire la nostra vita stravolgendola del tutto. I bambini d’altronde sono il nostro futuro. Ora più che mai sta a noi aiutarli ad avere una vita migliore, ad avere dei punti di riferimento affettivi. E la risposta al loro bisogno è l’affido familiare.