Antonino Burrafato, trentanove anni fa l’assassinio per mano mafiosa

Il vice brigadiere del Corpo degli Agenti di Custodia fu ucciso a Termini Imerese, dove prestava servizio

Antonino Burrafato, vice brigadiere del Corpo degli Agenti di Custodia

Il Corpo di Polizia Penitenziaria e la società civile ricordano Antonino Burrafato, ucciso il 29 giugno del 1982 e riconosciuto “Vittima del Dovere” ai sensi della legge 466/1980.
Alla sua memoria è intitolata la Casa Circondariale di Termini Imerese, in provincia di Palermo, dove prestava servizio quale addetto all’Ufficio Matricola.
Il vice brigadiere dell’allora Corpo degli Agenti di Custodia era nato a Nicosia, in provincia di Enna, il 13 giugno del 1933.
Attento, scrupoloso, svolgeva il proprio ruolo all’insegna del più alto senso del dovere.
Un esecutore rigoroso degli ordini che gli venivano impartiti.
Chi lo ha conosciuto, descrive un uomo incorruttibile ma, al contempo, dotato di umanità e comprensivo nei confronti dei detenuti.
Nei limiti consentiti dalla legge, ovviamente.
E rimanendo sempre e comunque contrario a qualsiasi forma di compromesso o servile sudditanza nei confronti degli stessi ristretti.

IL GIORNO DELL’ AGGUATO

Sembrava una giornata come le altre.
Il 29 giugno del 1982 Antonino Burrafato si apprestava ad andare a lavoro.
Giunto in piazza Sant’ Antonio – a pochi passi dal carcere termitano, che all’epoca era denominato “dei Cavallacci” – il vice brigadiere fu bloccato da un commando di quattro uomini a bordo di un’autovettura.

La Casa Circondariale di Termini Imerese, intitolata ad Antonino Burrafato
La Casa Circondariale di Termini Imerese, intitolata ad Antonino Burrafato


Raggiunto da più colpi di arma da fuoco, morì poco dopo all’Ospedale “Salvatore Cimino” di Termini Imerese.
Lasciava la moglie e un figlio, Salvatore, non ancora maggiorenne.

LE VERE RAGIONI DELL’ OMICIDIO

Solo parecchi anni dopo l’uccisione, si conobbero le vere motivazioni grazie alle dichiarazioni di Salvatore Cocuzza.
Il pentito – successivamente condannato a dieci anni con sentenza definitiva – rivelò di essere stato uno dei componenti del commando, tra i più feroci dell’epoca.
Gli altri erano Giuseppe Lucchese, Antonio Marchese e Pino Greco, detto “Scarpuzzedda” .
Confessò inoltre che a decretare la morte del quarantanovenne Antonino Burrafato era stato il boss Leoluca Bagarella.
La “colpa” del vice brigadiere era stata avere “osato” applicare alla lettera il regolamento carcerario al mafioso, cognato di Totò Riina.
Era stato infatti incaricato di consegnare al boss la notifica di una nuova ordinanza di custodia cautelare in carcere, mentre il bossa stava per tornare a Palermo per fare visita al padre in fin di vita.
L’atto impedì a Leoluca Bagarella di prendere parte ai funerali del genitore e, dopo un violento alterco in carcere, giurò di vendicarsi.
Una promessa tragicamente mantenuta.

UNA VENDETTA CONSUMATA CONTRO UN UOMO SOLO

Le confessioni di Salvatore Cocuzza confermarono i sospetti e le intuizioni del capitano dei Carabinieri Gennaro Scala.
A pochi giorni dal delitto, infatti, il militare aveva messo nero su bianco, nel suo rapporto, che Cosa Nostra aveva certamente avuto un ruolo nel delitto.
La mafia, infatti, considerò quel diniego come un’iniziativa arbitraria, esclusivamente legata alla volontà personale e punitiva del vice brigadiere.
Un’attribuzione che, di fatto, ne sancì la condanna a morte.
Impossibile non sottolineare la “leggerezza” di uno Stato che aveva lasciato un proprio servitore da solo di fronte a un uomo spietato e sanguinario.

LE RIFLESSIONI DEL FIGLIO SALVATORE

Salvatore Burrafato, il figlio oggi cinquantacinquenne che in passato ha ricoperto anche il ruolo di sindaco a Termini Imerese, ha affidato a facebook una riflessione in occasione dell’anniversario della morte.
” Sono passati 39 anni, una vita, da quando mio padre, Antonino Burrafato, è stato ucciso dalla mafia – si legge – il mondo è cambiato e, mai come oggi, avremmo tutti bisogno di una mano forte come è quella di un genitore”.

Salvatore Burrafato, il figlio del vice brigadiere Antonino
Salvatore Burrafato, il figlio del vice brigadiere Antonino

“Qualsiasi cosa lo Stato possa fare per combattere la mafia, noi, la famiglia Burrafato – afferma – non avremo più quelle piccole emozioni che appaiono normali nella vita di tutti”.
Parole amare, che si affiancano alla consapevolezza dell’importanza dei “piccoli legami familiari che la pandemia ha reso preziosi e unici”.
La memoria ha cristallizzato quel giorno maledetto.
“Il 29 giugno del 1982 ero uno dei tanti ragazzi italiani che aspettava la partita del mondiale – afferma – e oggi, sono un uomo maturo: a mio padre vorrei parlare di me, della mia famiglia, di mia figlia Marta”.
Il desiderio umanissimo di un figlio che vorrebbe rendere partecipe il genitore degli errori e dei successi.
“Mi piacerebbe sedermi a un tavolino del bar con lui – prosegue – noi due soli, di fronte al mare di Termini Imerese, che lui amava tanto”.
Insieme, “per parlare di tutto e di niente, come possono fare soltanto un padre ed un figlio”.
Un post bellissimo e toccante, che si chiude con alcuni interrogativi sul presente, sul funzionamento della giustizia in Italia, sulla lotta alla mafia.
“Gli chiederei – si legge ancora – cosa pensa del fatto che Giovanni Brusca sia tornato un uomo libero”.

IL SACRIFICIO DI UN “EROE NORMALE”

Lo Stato ha riconosciuto e onorato l’estrema adesione al dovere e al principio di legalità da parte di Antonino Burrafato, espressione di un “eroismo normale“.
Ovvero, il sacrificio di un uomo reo soltanto di avere difeso le leggi.
Il 26 giugno del 2006 gli è stata conferita la Medaglia d’oro al Merito civile.
A favore dei suoi familiari, costituitisi parte civile nel processo, il riconoscimento di vittime dei reati di tipo mafioso, secondo la legge 512/1999 da parte del Comitato di solidarietà.