“Libero” riappare su twitter. Ma i “ban” decisi dai social fanno discutere

“Eccoci di nuovo qua. Spiace”, commenta sarcasticamente il quotidiano

Feltri

Dodici ore dopo la disattivazione Twitter ha riattivato il profilo del quotidiano “Libero”. Il social network aveva sospeso il profilo del quotidiano milanese proprio nel bel mezzo dell’infuriare del dibattito scatenato dal bando definitivo da ogni social-media del presidente uscente degli Stati Uniti Donald Trump. Il tema di discussione è stato la legittimità di assumere decisioni così drastiche da parte di chi possiede un social network così diffuso.

Eccoci di nuovo qua. Spiace”, il primo, sarcastico, cinguettio del quotidiano dopo lo sblocco del profilo. In un articolo, Libero sostiene di non sapere il perché della sospensione né della riattivazione. Forse, ipotizza l’autore, si è trattato di un blocco automatico dopo tante segnalazioni.

I SOCIAL POSSONO DECIDERE COSA È LECITO DIRE?

Il quotidiano fondato nel 2000 da Vittorio Feltri ha spesso fatto discutere, sollevando anche proteste, non tanto per i suoi articoli, quanto per i suoi “scorretti” titoli di prima pagina. Ma le chiusure del profilo del quotidiano, di quelli di Trump e di quelli dell’assessore regionale del Veneto Elena Donazzan, “rea” di aver cantato “Faccetta nera” nella trasmissione radiofonica “La zanzara” (per lei sono state invocate le dimissioni per apologia di fascismo), hanno accesso un vivace dibattito sul diritto di enti privati, come i padroni dei vari social network, di stabilire ciò che è lecito dire ed, eventualmente, di chiudere i profili.

Dopo l’assalto al Campidoglio di Washington dei giorni scorsi, i padroni dei social hanno chiuso ben settantamila profili di persone sostenitrici di Trump o vicine al controverso movimento complottista Qanon. Persino leader come Angela Merkel o Emmanuel Macron hanno contestato la decisione di Twitter di bandire Trump, invocando il diritto alla libertà di parola e di espressione.

Dall’altro lato, chi concorda con la scelta del social network, ricorda che Twitter è un soggetto privato e che libertà non significa licenza di incitare alla violenza e di diffondere fake news.

NECESSITA UNA REGOLAMENTAZIONE

Da ambo i lati, però, si concorda sulla necessità di una nuova regolamentazione del tema da parte dello Stato, per la rilevanza sociale che rivestono oggi i social e perché non si può lasciare a privati l’arbitrio su chi possa o non possa parlare, senza nemmeno possibilità di giudizio terzo o di appello contro la loro decisione punitiva.

In Italia c’è un precedente, con la decisione del tribunale che impose a Facebook di ripristinare la pagina di CasaPound, chiusa dal social di Mark Zuckerberg. In quel caso l’organo competente aveva precisato che, se è vero che un iscritto ha violato le norme di adesione, ad accertare e giudicare eventuali violazioni di legge deve essere comunque un giudice.