Un mondo senza social: riflessioni dopo il crash di Facebook e Whatsapp

Un blackout globale durato circa sei ore che ci costringe a riflessioni su quella che è ormai la nostra quotidianità: potremo mai far più a meno dei social?

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I tempi si leggono attraverso segni così: quando le cose che diamo per scontate, perché le usiamo “naturalmente” ogni giorno, vengono a mancare improvvisamente, cogliendoci del tutto impreparati e, perciò, inermi, disorientati, sgomenti quasi.

Viviamo nell’era dei social, buona parte dei nostri rapporti interpersonali si consuma lì e, se vengono meno i vari Whatsapp, Facebook e persino Instagram, è un sistema esistenziale che va in crisi. C’è poco da sottovalutare. Da fare spallucce. “Niente è più necessario del superfluo”, diceva Oscar Wilde. E per tanti i social sono il superfluo, l’epicentro di ogni male della società del XXI secolo, il regno di influencer; lo sfogatoio di complottisti, di depressi e repressi, di leoni da tastiera, il megafono di moderni demagoghi, il vivaio di fake news e via dicendo.

Ma, in realtà, tutto sono tranne che superflui. Sono la nostra finestra sul mondo, il legame con chi è lontano, un imprescindibile mezzo di lavoro per chi fa dei contatti e della cura quotidiana e continua dei rapporti lo strumento della sua attività. E’ persino banale scriverlo.

Un mondo senza social

Segno dei tempi. E’ durato qualche ora, il down della galassia social di Mark Zuckerberg, ma è sembrato un’eternità. Persino un colosso informatico, in questa epoca che si fa sempre più tecnologica, ha mostrato crepe preoccupanti. Ci porrà rimedio, è prevedibile.

Ma noi, utilizzatori dei social, frequentatori delle piazze virtuali delle città telematiche, siamo tornati indietro in un mondo distante pochi anni, ma che sembra remoto nel passato. I giovani di oggi nemmeno lo immaginano un mondo senza social, anche se i loro social non sono quelli frequentati dagli adulti. Loro sono sempre lì, a smanettare a una velocità inaudita, tra video su Tik Tok e roba del genere. Noi con più anni sulle spalle forse ci siamo sentiti smarriti un po’ di più. Il nostro mondo è, prevalentemente, Facebook, un po’ Instagram e senz’altro Whatsapp, con le sue chat per tutto; per chiacchierare coi famigliari, coi genitori dei compagni di scuola dei figli, coi professori, coi colleghi, con la squadra di calcetto. Senza, come si fa? In qualche modo, si fa, certo, ma ci vuole un po’ per riconnettersi con quei mezzi che sembrano ormai obsoleti, come gli sms o – addirittura! – la telefonata.

Austerity

Segno dei tempi. Perdere, anche se per poco, quello a cui ci eravamo abituati e che rende più semplice o soltanto più varia la gamma di mezzi a nostra disposizione, ci lascia senza riferimenti, senza una bussola. Chi ha più di cinquant’anni ricorda l’austerity, ovvero la crisi petrolifera che negli anni ’70 dello scorso secolo costrinse a rinunciare all’automobile. In quel decennio, quel mezzo di trasporto stava già diventando un bene diffuso, praticamente alla portata di tutti e di ciascun. Ci si era ormai abituati all’utilizzo delle macchine per le gite in famiglia, ma anche per l’uso del singolo per andare al lavoro; anche se i mezzi pubblici erano ancora quelli più usati da lavoratori, studenti e massaie che andavano a fare la spesa. L’austerity “costrinse” gli italiani a lasciare le auto a casa e a tornare a muoversi a piedi, coi bus o in bici. Insomma, a rinunciare a una comodità frutto della modernità per fare un tuffo carpiato all’indietro. Anche in quel caso, indietro di qualche anno, quando le macchine le avevano davvero in pochi e se ne vedevano in giro pochissime, ma sembrava di essere tornati in un mondo remoto, dimenticato e “preistorico”.

Crash del sistema

Bello, per carità, affascinante, tornare in un passato, fatto di contatto con la natura, di rapporti più diretti, veri e genuini, dove ci si guarda in faccia, ci si vede, ci si tocca. Ma ormai, chi può fare a meno di guardare il telefonino ogni due per tre, di chattare su Whatsapp, di mettere un like o di commentare un post su Facebook, di pubblicare la foto del piatto del ristorante su Instagram? Così come 40 e più anni fa si cominciava a non poter fare a meno della macchina per andare a fare visita ai parenti, per andare in ufficio e, strada facendo, lasciare i figli a scuola.

Tutte cose che oggi facciamo con la stessa meccanica naturalezza con cui respiriamo, ma che possiamo perdere così, per un semplice crash del sistema. Che, anomalia del sistema, fanno tutte capo a una sola società, a una sola persona. E questo è forse il punto sul quale dovremmo riflettere di più e meglio. Ma è tutta un’altra storia.

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